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di Alessandra Ziniti

La Repubblica, 9 novembre 2022

I verdetti dei giudici di Catania e del Tar del Lazio contro lo sbarco selettivo e il decreto Piantedosi sono attesi in tempi brevi. I precedenti che hanno portato Salvini alla sbarra e l’assoluzione di Carola Rackete.

Il Viminale non cede, i comandanti non intendono ripartire. Da oggi, per superare l’impasse nel braccio di ferro tra le organizzazioni umanitarie e il governo che non vuole concedere lo sbarco di tutte le persone salvate, la parola passa ai giudici: quelli del tribunale del Lazio, innanzitutto, ai quali il pool di legali che ha preparato il ricorso per la Ong tedesca Sos Humanity chiede di annullare il decreto interministeriale che vieta alla nave di permanere in acque italiane dopo lo sbarco dei fragili, ma anche quelli del tribunale civile di Catania ai quali è stato invece chiesto di attivare immediatamente la procedura per consentire anche ai migranti rimasti bloccati nel porto di Catania di presentare richiesta di asilo. I verdetti, vista la situazione, sono attesi in tempi molto brevi.

I due ricorsi - Il primo ad essere stato presentato è quello al tribunale civile di Catania nell’interesse dei 35 migranti rimasti a bordo della Humanity 1. Tutti hanno già chiesto al pool di legali il riconoscimento della protezione internazionale. A presentare il ricorso urgente è stato l’avvocato Riccardo Campochiaro che, nell’atto, osserva come tutti i 179 salvati dalla Humanity 1 (144 dei quali fatti scendere) hanno presentato richiesta di asilo e come tutti siano da considerare naufraghi con l’obbligo che ne discende di concludere l’evento Sar portando a terra nel porto più vicino le persone salvate. L’udienza, alla quale non parteciperà la parte avversa del governo, potrebbe essere trattata da un giudice unico o da un collegio.

Il secondo ricorso invece, presentato al Tar del Lazio punta all’annullamento del decreto firmato dai ministri Crosetto, Piantedosi e Salvini che - tra l’altro - non risulta pubblicato in Gazzetta ufficiale ma è stato comunque notificato alle parti interessate, al momento solo la Sos Humanity e Msf ma non ancora a Sos Mediterranée. Il decreto per altro non ha una scadenza entro la quale i comandanti delle navi fatte attraccare temporaneamente devono poi lasciare il porto.

“Non si può dare il Pos (Place of safety) solo ad alcune persone - spiega l’avvocata Giulia Crescini del collegio difensivo di Sos Humanity - Nel momento in cui viene dato tutti i naufraghi devono poter scendere da quella nave”. Il ricorso contesta diversi punti del decreto a cominciare quindi dalla legittimità dello sbarco selettivo. Contestato è anche l’assunto del decreto secondo il quale le navi umanitarie non potrebbero entrare in porto per ragioni di sicurezza. “Nel momento in cui la nave entra e sbarca alcuni dei naufraghi - osserva ancora l’avvocata Crescini - evidentemente queste ragioni di sicurezza non esistono perché una parte dei naufraghi è sbarcata”.

Il precedente del Tar del Lazio per la Open Arms - Prezioso precedente, ovviamente, è il precedente della pronuncia del Tar del Lazio del 13 agosto 2019 quando, su ricorso urgente presentato dalla Open Arms che era in mare da quasi due settimane con diverse centinaia di migranti a bordo, i giudici annullarono il decreto con il quale i ministri Salvini, Trenta e Toninelli, in applicazione del decreto sicurezza, aveva vietato l’ingresso in acque italiane alla nave della Ong spagnola. In quell’occasione i giudici diedero il via libera alla nave affermando che gli obblighi internazionali assunti dall’Italia hanno un valore superiore rispetto alle leggi ordinarie e naturalmente anche rispetto a un decreto. E che quindi l’obbligo di sbarco delle persone soccorse e la valutazione delle richieste di asilo sulla scorta della convenzione di Ginevra sono premimenti rispetto al controllo delle frontiere. Dopo la decisione del Tar del Lazio, la Open Arms entrò in acque italiane e rimase ferma davanti Lampedusa ancora per diversi giorni. Poi fu l’intervento della Procura di Agrigento, giudicate insostenibili la situazione sanitaria e di sicurezza della nave, a far scendere i migranti. L’inchiesta è quella che ha poi portato al processo, attualmente in corso a Palermo, che vede Matteo Salvini sul banco degli imputati.

L’assoluzione di Carola Rackete - Ma il precedente forse più importante di tutti è la sentenza con la quale il 16 gennaio 2020 ha dato ragione a Carola Rackete, comandante della Sea Watch arrestata in flagranza a Lampedusa il 29 giugno 2019 per essere entrata di forza nel porto di Lampedusa speronando persino una motovedetta della guardia di finanza che le sbarrava la strada. Al di là della contesta sulla configurazione giuridica della motovedetta come “nave da guerra”, il responso della Cassazione afferma definitivamente che “Carola Rackete agì correttamente seguendo le disposizioni sul salvataggio in mare perché l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”: Da qui la giustificazione dell’atto di forza della Rackete e l’annullamento dell’ordine di custodia cautelare. La vicenda poi si concluse con l’assoluzione per la comandante della Sea Watch.