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di Carlo Bertini

La Stampa, 24 settembre 2023

L’ex presidente della Corte: “Il modello americano di Ellis Island può servire per dare una formazione nei Cpr utile a trovare lavoro”. “La cauzione di cinque mila euro chiesta ai migranti per non essere rinchiusi nei Cpr è inaccettabile e ha probabili profili di incostituzionalità”. L’ultima trovata del governo, che anche sul piano formale - un decreto legge che ne integra un altro - sconcerta l’ex presidente della Consulta, Giovanni Maria Flick, dà il segno di dove si sia arrivati: “Piuttosto - propone Flick - offriamo ai migranti un periodo di formazione e l’apprendimento della nostra lingua, chiedendogli in cambio di sottoporsi a misure di restrizione inevitabili, ma certo non di un anno e mezzo. E per favore lasciamo perdere gli esempi delle caserme dismesse”.

Che cosa comporterebbe sul piano giuridico una “cauzione” da chiedere in cambio della libertà?

“I 5 mila euro di “cauzione” sono inammissibili non solo dal punto di vista giuridico, ma umano, sociale, politico ed etico. Soffriamo in Italia la contrapposizione tra due opposti radicalismi: tra chi chiede blocco alle frontiere o blocco navale e chi sembra tollerare un’accoglienza generalizzata. Si deve riconoscere la necessità di un controllo dei migranti e che la maggiore possibilità di accesso sia compensata da un controllo serio delle loro posizioni singole”.

Ma qui si parla di 18 mesi di detenzione…

“E ciò significa accantonare il problema in attesa di una sanatoria. Non si può punire come delitto l’entrata nel Paese senza documenti e la Consulta lo ha ripetuto più volte. Questa è la prosecuzione di un’ipocrisia che in passato accettava i migranti di passaggio nella convinzione che se ne sarebbero andati in altri Paesi”.

È possibile che la Corte Costituzionale abbia qualcosa da ridire su questo cumulo di norme controverse?

“Se qualcuno farà un ricorso al giudice e solleverà il problema della libertà a fronte di una “cauzione”, e se il tribunale riterrà non infondata la questione di una pari dignità che non può dipendere da condizioni sociali, la Corte potrebbe eccepire. Non ho la presunzione di mettermi nella testa dei giudici, né della Consulta, ma non credo che si possa pagare la libertà con un versamento di migliaia di euro chiesto a chi arriva in tali condizioni”.

Queste ultime misure saranno inutili?

“Se quei 18 mesi sono una forma di minaccia per impedire alla gente di venire, non saranno un deterrente sufficiente per chi sfugge alla morte. Mi chiedo poi cosa sarà di queste persone dopo quei 18 mesi. Si è visto che i rimpatri di massa sono vietati, costosi e impraticabili”.

E allora cosa fare?

“Mi domando se non si giustifichi un rovesciamento della questione, sperimentando magari il modello degli Usa con Ellis Island: un filtro per far entrare la gente che risponda alle esigenze di lavoro del Paese. Se si vuol porre una negoziazione con lo straniero per permettergli di non entrare nel Centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) con una “cauzione”, ecco un’altra proposta migliore: chiediamogli se sia disposto a entrare in un ambiente sorvegliato, in cui possa studiare la lingua italiana e ricevere una formazione professionale per poi trovare un lavoro da chi in Italia ha bisogno di manodopera. E si potrebbe chiedere che le imprese italiane contribuiscano alla formazione in questi centri”.

Ma si può eccepire che anche questa sarebbe una privazione di libertà…

“Certo, è una proposta provocatoria, da discutere, anche in questo caso si aprirebbe comunque il problema dei minori e delle famiglie per i ricongiungimenti. Ma io dico: lavoriamo sull’uomo e non sui numeri. Una volta aperto il dialogo con la norma sulla “cauzione”, forse bisognerebbe verificare se non siano più sagge altre alternative. Ovvero se il migrante possa essere disposto ad accettare una limitazione di movimento per una formazione che gli consenta di inserirsi nel Paese e nel lavoro”.