di Antonio Nicita*
L’Unità, 27 agosto 2024
Il governo lo chiama “Centro trattenimenti” ma quello di Agrigento è un carcere di afa e lamiera, che calpesta i diritti umani e di difesa. Il nuovo Centro Trattenimenti dei migranti che il Governo ha realizzato in tutta fretta a Porto Empedocle nella settimana di Ferragosto è un pezzo di asfalto a forma di triangolo isoscele subito fuori il porto e subito prima di una spiaggia piena di bagnanti. Il Centro è di fatto adiacente all’enorme e vuoto hot spot, ma separato da una doppia fila di alte recinsioni di acciaio. vuoto al momento del mio arrivo, nel pomeriggio di un sabato agostano. Ci sono diversi container contenenti 6 posti ciascuno con letti a castello, una portafinestra, un container esterno per docce e toilette. Lo spazio di asfalto che circonda i container è veramente ristretto ed è inimmaginabile che possano starci, a regime, 70 persone.
Al momento della mia ispezione ci sono 6 tunisini. Fuori dal cancello altrettanti poliziotti affaticati dal sole, altri sono nelle macchine che circondano la struttura. L’impressione è quella di un’apertura frettolosa che si riflette anche nell’assenza di spazi sufficienti e coperti dentro e fuori la griglia di ferro, tanto per i migranti quanto per i vigilanti. Ci ripariamo sotto una piccola tenda dal sole di agosto che picchia e parliamo. Chiedo alla interprete che trovo sul luogo la gentilezza di restare qualche minuto ancora, giacché quasi tutti parlano solo arabo. Il primo tunisino si chiama Ala Agili, ha 23 anni e ha appena ricevuto la notizia della convalida dell’ordine di rimpatrio dal tribunale di Palermo. Tutto rapidissimo in meno di 4 giorni. L’avvocato (d’ufficio) lo ha visto in video in udienza senza averlo mai incontrato prima, non ha avuto il tempo di contattare nessuno nella settimana di Ferragosto. Come si legge dal dispositivo che lo riguarda, Ala Agili proviene da un Paese ritenuto ‘sicuro’ dall’Italia e comunque risulterebbe aver tentato la fuga nonché aver rinunciato a versare la cauzione di 2.500 euro (ai sensi della confusa legislazione Cutro).
Questo ragazzo tunisino ci racconta tuttavia una storia diversa (dal punto di fatto ‘accertato’ dal Giudice): è vero, si è buttato a mare dal barchino (come lui stesso ha raccontato non avendo altri testimoni) a qualche decina di metri dall’arrivo ma non per fuggire, asserisce, ma solo perché era arrivato, sapeva nuotare e si stava stretti nel barchino. Racconta di essersi recato in una struttura che aveva davanti una auto dei Carabinieri (e che aveva quindi scambiato per un hotel ospitante migranti); di aver chiesto “help” (non parla né inglese né francese) e di come raggiungere le autorità per la richiesta di asilo. Mi chiede se si può contattare il personale dell’hotel per confermare le sue parole. Il verbale e la sentenza di accertamento dei fatti raccontano una storia diversa: avrebbe tentato la fuga e avrebbe chiesto alla ricezione dell’hotel - immaginiamo in arabo - come scappare dall’isola senza essere catturato. Gli altri 5 tunisini hanno ricevuto il diniego dalla Commissione e attendono la convalida del provvedimento di espulsione. Sono riuscito a farli mettere in contatto con un’avvocatessa. Vedremo.
Sotto la tenda, la persona che parla per tutti è Khemains Abasse, 35 anni, con moglie e figli in Tunisia. Parliamo in francese, ma sfoggia anche uno spagnolo fluente, con termini abbastanza sofisticati. Sostiene di essere diplomato, e di aver fatto un master. Mi chiede come sia possibile che l’Italia giudichi “sicuro” un paese come la Tunisia che lui giudica “invivibile” e in preda a soprusi di ogni tipo. Sorride all’idea che si possa pensare che un migrante che lascia tutto per bisogno possa poi disporre di 2500 euro o avere trovato una banca o qualcuno che copra una fidejussione in due giorni tra Lampedusa, Porto Empedocle e Agrigento. Questa discussione, effettivamente surreale nei contenuti, avviene in una landa assolata e vuota, piena di recinti di ferro, tra poliziotti sudati e affannati, con il vento caldo che porta anche le voci dalla spiaggia dei bagnanti a poche decine di metri. Nessuna invasione, nessun pericolo. L’hot spot accanto vuoto. L’impressione è che si voglia usare questa settimana ferragostana per un esperimento che ribalti il costante orientamento giudiziario della procura di Catania finora contro i decreti del Governo. Non si capisce infatti il senso di una nuova struttura quando c’è già Pozzallo che, però, deve riferirsi a Catania.
La mia personale impressione di questo pomeriggio di fine estate a Porto Empedocle è che sia molto difficile godere appieno di un diritto di difesa quando non incontri il tuo avvocato prima dell’udienza, non puoi parlare con lui in una lingua compresa da entrambi, non puoi fornire elementi di fatto autonomi per l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice. Di fatto, queste persone sono trattenute come detenuti ma, a differenza dei detenuti, hanno molte meno possibilità di organizzare in due giorni una difesa, di essere ascoltati, di comprendere la legislazione italiana.
Andando via mi sono chiesto dove sia il rispetto dell’articolo 10 della nostra Costituzione, quello che impone di accogliere uno straniero nel caso in cui non veda rispettati, nel suo paese, i diritti di cui pretendiamo il rispetto nel nostro paese. E però mi sono confuso. Colpa del caldo e del sole. Mi sono sentito un po’ straniero anche io, tornando a casa.
*Vice presidente gruppo Pd Senato