di Eleonora Camilli
La Stampa, 24 luglio 2025
In un report dal titolo “Trattenuti”, ActionAid e l’università di Bari hanno ricostruito quanti milioni sono stati effettivamente spesi per l’allestimento fino a marzo 2025 dei centri italiani in Albania. Pagamenti per 570mila euro all’ente gestore Medihospes e una spesa di 114mila euro al giorno per detenere 20 persone tra metà ottobre e fine dicembre 2024, poi liberate. Per la prima volta in un report dal titolo “Trattenuti”, ActionAid e l’università di Bari hanno ricostruito quanti milioni sono stati effettivamente spesi per l’allestimento fino a marzo 2025 dei centri italiani in Albania.
Nello specifico, a Gjader, a fine marzo 2025, erano stati realizzati 400 posti: per la sola costruzione (compresa la struttura non alloggiativa di Shengjin) sono stati sottoscritti contratti, con un uso generalizzato dell’affidamento diretto, per 74,2 milioni. Secondo il report l’allestimento di un posto effettivamente disponibile in Albania è costato oltre 153mila euro. Il confronto con i costi per realizzare analoghe strutture in Italia è impietoso: nel 2024 il centro di Porto Empedocle è costato 1 milione di euro per realizzare 50 posti effettivi (poco più di 21.000 euro a posto).
“L’operazione Albania è il più costoso, inumano e inutile strumento nella storia delle politiche migratorie italiane” sottolineano ActionAid e UniBari. Secondo i ricercatori che hanno curato il rapporto, le due strutture oltre l’Adriatico sono anche inutili perché nei centri per il rimpatrio in Italia oggi ci sono diversi posti vuoti. “Alla luce di ben 263 posti vuoti sul totale di 1164 disponibili - spiega Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid - il tentativo di utilizzare il Cpr di Gjader per detenere la popolazione straniera irregolare presente in Italia appare del tutto irrazionale e illogico”.
I due centri risultano anche poco efficaci anche sul fronte della deterrenza. Nel 2024, dai cpr italiani sono stati rimpatriate solo il 10,4% delle persone che hanno ricevuto un provvedimento di allontanamento, il minimo storico dal 2014: “L’utilizzo della detenzione come strumento della politica d’asilo segna un cambio di paradigma epocale, che pone gravi interrogativi circa gli obiettivi di uno strumento così impattante sui diritti fondamentali delle persone” aggiunge Giuseppe Campesi, dell’Università di Bari. “Interrogativi che hanno trovato un riflesso diretto nella crescita significativa delle uscite per mancata convalida o proroga del provvedimento di trattenimento da parte dell’autorità giudiziaria”.