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di Giovanni Bianconi

Corriere della Sera, 31 gennaio 2024

Ma per la Procura è illegittima la “disapplicazione” del decreto da parte della giudice. Il “caso Apostolico” - dal nome della giudice catanese Iolanda Apostolico che per prima disapplicò il cosiddetto “decreto Cutro” sul trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da Paesi considerati sicuri, ritenuto in contrasto con la normativa europea - approda nell’aula delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione con un piccolo colpo di scena. La Procura generale sostiene che la decisione del tribunale di Catania è sbagliata e che le procedure di trattenimento si svolsero legittimamente, ma chiede di investire la Corte di giustizia europea: devono essere i giudici di Lussemburgo a stabilire se la “garanzia finanziaria” da quasi 5.000 euro prevista come alternativa al trattenimento è conforme o meno al diritto comunitario.

La Cassazione - riunita al massimo livello per la “particolare rilevanza” della questione sollevata - emetterà il suo verdetto nelle prossime settimane, ma intanto la discussione andata in scena ieri nel “Palazzaccio” ha riportato la vicenda entro i naturali confini del diritto italiano ed europeo. Dai quali era ampiamente uscita con le polemiche politiche sui comportamenti “extra-giudiziari” della magistrata che firmò il primo provvedimento contestato, considerati di pregiudiziale opposizione al governo. Di quella diatriba non c’è stato il minimo sentore nel botta e risposta tra l’Avvocatura dello Stato, che a nome del ministero dell’Interno chiede di annullare le ordinanze catanesi (firmate non solo da Apostolico), e l’avvocata Emanuela Lo Faro che, per conto dei migranti tunisini ancora in attesa di conoscere il loro destino, sollecita la Corte a respingere i ricorsi governativi.

In mezzo la Procura generale, secondo cui il decreto Cutro non è in “radicale contrasto” con la normativa dell’Unione europea sull’accoglienza e la protezione internazionale, e dunque i provvedimenti emessi a Catania sarebbero illegittimi. Tuttavia la norma che prevede il versamento di una cauzione di 4.938 euro (con fideiussione bancaria o polizza assicurativa) per non essere trattenuti negli appositi centri (fino a 4 settimane) potrebbe risultare così gravosa da non costituire una reale alternativa, e quindi essere incompatibile con la Direttiva comunitaria. Di qui la richiesta di inviare gli atti a Lussemburgo.

Una posizione “intermedia” che fa gioco al governo Meloni per la premessa (il decreto non andava disapplicato), ma non per la conclusione. Sia pure attutito dal linguaggio prettamente tecnico, il documento sottoscritto dall’avvocato generale Renato Finocchi Ghersi e dal sostituto procuratore generale Luisa De Renzis afferma infatti che la richiesta di quella “garanzia finanziaria” è sostanzialmente irragionevole e sproporzionata. Impedire, ad esempio, che lo somma di denaro non possa essere fornita da terze persone “sembra introdurre criteri di eccessiva penalizzazione e di discriminazione”; e l’importo “indicato in misura fissa e non individualizzata” contrasta con la proporzionalità e l’adattamento alla “situazione individuale” richiesto da altre regole europee. Per non parlare di come una persona senza documenti possa accedere a una banca.

Ciò nonostante, per i pm l’ultima parola spetta alla Corte di giustizia, l’unica che può dire se ogni valutazione sulla congruità di queste misure è rimessa ai singoli Paesi o invece ci siano criteri e “parametri desumibili dal diritto comunitario” da rispettare.