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di Gianfranco Schiavone

L’Unità, 18 luglio 2023

Le richieste della Guardia Costiera italiana rivolte alla nave Open Arms di adoperarsi per il soccorso dei naufraghi avvenuto il 6 luglio possono apparire un paradosso, ma non lo sono; o meglio, lo sono pienamente se viste sotto la lente delle confuse e demagogiche scelte politiche che agitano il Governo in carica, ma non lo sono affatto sul piano giuridico.

La Guardia Costiera ben conosce infatti il diritto internazionale marittimo e in particolare le norme sul dovere di soccorso in mare e dunque sa bene che “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”. (Convenzione Uncls all’articolo 98 paragrafo 1).

Pertanto, non potendo direttamente intervenire con i propri mezzi è suo obbligo (e non sua facoltà) chiedere a qualunque nave si trovi in condizione di operare il soccorso, di farlo il prima possibile, sotto suo coordinamento. La Guardia Costiera sa anche bene che i soccorsi possono essere multipli e non certo uno soltanto, come vuole invece una diffusa ma del tutto infondata interpretazione del Decreto legge 1/23 convertito con modificazioni in legge 15/23 in relazione al completamento “senza ritardo” delle operazioni di soccorso.

Fatta salva l’esigenza di valutare gli eventuali rischi per la sicurezza della nave, non può infatti sussistere alcun margine di scelta da parte del comandante di qualsiasi nave nell’effettuare anche soccorsi multipli nel corso della medesima navigazione qualora nel corso della propria navigazione la nave intercetti direttamente (o riceva istruzioni di agire da parte delle autorità) più situazioni di grave pericolo e altre navi non siano in grado di intervenire o perché troppo distanti dal luogo dove si registra il rischio di naufragio o perché tecnicamente non idonee ad effettuare il soccorso stesso in condizioni di sicurezza.

Il luogo nel quale si devono concludere i soccorsi deve, infine, sempre essere un porto sicuro, ovvero, secondo le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Risoluzione Msc.167 (78), un luogo dove sono assicurati i bisogni primari e la vita e la sicurezza dei naufraghi non sono minacciate. Ciò in particolare nel caso di salvataggio di persone in fuga: “la necessità di evitare lo sbarco in territori dove la vita e la libertà di coloro che dichiarano di avere un fondato timore di persecuzione di coloro che dichiarano di avere un fondato timore di essere perseguitati, è un elemento da tenere in considerazione nel caso di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare” (Linee Guida paragrafo 6.17).