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di Alessandra Ziniti

La Repubblica, 2 ottobre 2024

L’ultima ipotesi in circolazione, 23 settembre, è stata smentita e nessuno dei tanti attori coinvolti nel progetto ha ricevuto alcuna comunicazione su quando tenersi pronti. I 13 milioni e mezzo di euro destinati al noleggio (per soli tre mesi) della nave privata per i soccorsi nel Mediterraneo e destinati ai centri in Albania, il Viminale ha pensato bene che era il caso di risparmiali. Ad estate ormai passata e a flussi così sensibilmente ridotti, è ormai chiaro anche al governo che quando il progetto sarà in grado di partire le persone che, almeno per il 2024, finiranno nei centri saranno molto ma molto meno dei tremila al mese previsti dal protocollo. Alla procedura per la manifestazione di interesse, spesa stimata fino a 1,5 milioni per soli 90 giorni, pubblicata a giugno quando ancora l’apertura dei centri era prevista come imminente, non è stato dato alcun seguito. E dunque niente nave privata, una trovata peraltro non prevista dai termini dell’accordo che parla chiaramente di navi militari italiane come mezzo a bordo dei quali trasportare i migranti.

Ancora tutto fermo - Se e quando i centri apriranno. Al Viminale ormai non danno più date. Stanchi di rispondere, ormai da maggio, “questione di poche settimane. Ma settembre è ormai passato e il progetto Albania non parte ancora. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi spera ancora di presentarsi ai colleghi del G7 convocati per il 2 ottobre a Mirabella Imbaccari per parlare soprattutto di strategie di contrasto al traffico di migranti, con le porte dell’hotspot di Shengjin e del centro di trattenimento per richiedenti asilo di Gjader finalmente aperte.

Ma prima il sole e il troppo caldo che hanno costretto gli operai a lavorare con lunghe pause nelle ore centrali della giornata, ora la pioggia che ha reso i terreni di Gjader privi di fogne un pantano. E dunque ancora nessuna certezza su quando il Genio civile darà l’ok e i Centri verranno consegnati al Viminale. L’ultima data in circolazione, 23 settembre, è stata smentita e nessuno dei tanti attori coinvolti nel progetto, da Unhcr ai giudici alle forze di polizia, ha ricevuto alcuna comunicazione certa, e comunque è esclusa un partenza prima della seconda metà di ottobre.

La ‘fila’ per andare in Albania - In attesa del semaforo verde, però, per andare in Albania in Italia c’è la coda. Polizia, carabinieri, agenti della penitenziaria, si contendono la missione d’oro che già da giugno sta costando al bilancio dello Stato inutili ma considerevoli cifre. Circa 30.000 euro al giorno, 900.000 euro in un mese.

Sono già migliaia le richieste che sono giunte nei vari Corpi interessati per poter fare almeno un turno in Albania: cento euro di missione al giorno più vitto e alloggio, al momento per vigilare sulle strutture vuote, un domani per guardare a vista i migranti nel centro di trattenimento o, se mai qualcuno dovesse finirci, nel piccolo penitenziario da 24 posti dove sarà assicurato un trattamento che nessun carcere italiano ha: 3 guardie carcerarie ogni detenuto a fronte di un rapporto che nell’inferno delle carceri italiane è invertito, un poliziotto ogni tre detenuti. Quelle che sono partite, e non senza proteste e riserve, sono quelle che il ministro dell’Interno Piantedosi definisce le “prove generali” dell’attuazione delle procedure accelerate di frontiera che poi dovranno trovare piena attuazione nei centri di Albania che restano un miraggio.

Il primo espulso - Il primo espulso dal centro trattenimenti per richiedenti asilo di Porto Empedocle con le procedure accelerate di frontiera su cui ruota il progetto-monstre dell’Albania è stato un ragazzo tunisino con mutilazioni genitali. Dunque decisamente un vulnerabile, di quelli - per capirci - che la legge vieta di rimandare indietro con procedura sommaria. E invece, quel ragazzo lo hanno rimandato indietro in tre giorni, dopo che la giudice della sezione immigrazione di Palermo ha confermato il fermo che il questore di Agrigento aveva disposto perché a Lampedusa aveva tentato la fuga. “Rimandato indietro ancor prima di comparire davanti al giudice per la trattazione della sua richiesta di asilo - racconta la sua legale Rosa Emanuela Lo Faro - non pensavano che lui, dalla Tunisia, dove appena arrivato è sfuggito ad un agguato delle stesse persone che in passato lo avevano mutilato, sarebbe riuscito a collegarsi in udienza e a farci avere una lettera con la sua storia”.