sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giansandro Merli

Il Manifesto, 6 luglio 2023

I numeri degli sbarchi smentiscono il pull-factor. Intanto la guardia costiera coordina i “soccorsi multipli” criminalizzati dal Viminale. In principio fu il pull-factor. Teoria già sbandierata in passato, mai dimostrata, riciclata dalla destra tornata al governo. Per esempio dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che il 16 novembre scorso diceva: “Dalle più recenti analisi di rischio elaborate da Frontex emerge che la presenza di assetti navali delle Ong in prossimità delle coste libiche continua a rappresentare un fattore di attrazione, il cosiddetto pull-factor”.

Di questo leggendario rapporto dell’agenzia Ue, citato per tutto l’autunno da esponenti della destra, non si è mai saputo nulla. Cinque europarlamentari leghisti - Rinaldi, Campomenosi, Zanni, Tardino, Panza - lo hanno perfino chiesto alla Commissione con un’interrogazione a risposta scritta. Evidentemente né loro né i colleghi di partito, che pure lo hanno usato a sostegno delle loro tesi, lo avevano mai visto. Dall’istituzione Ue non è arrivato nulla. Frontex non lo ha mai pubblicato.

Dopo i primi otto mesi e mezzo del nuovo esecutivo, comunque, il bilancio di dichiarazioni e misure del governo sulle imbarcazioni umanitarie va fatto con i numeri. Se il 26 ottobre 2022 il titolare del Viminale diceva che puntava a “non avere navi che trasportano migranti”, 253 giorni dopo quell’obiettivo è fallito. Basta mettere a confronto il primo semestre di quest’anno - il decreto anti-Ong di Piantedosi, poi convertito in legge, è in vigore dal 2 gennaio - con lo stesso periodo 2022. Le navi umanitarie sono passate da 8 a 12, le missioni da 19 a 43. Complessivamente nei primi sei mesi dello scorso anno le Ong avevano salvato 4.066 persone, quest’anno 4.694 (anche se il 30% del totale è rappresentato da tre mega soccorsi realizzati dalla Geo Barents di Msf).

La strategia del governo ha fallito? Non proprio: è andata a segno nel limitare l’operatività delle Ong, ma questo non ha avuto alcun impatto sugli sbarchi. In rapporto al numero complessivo di arrivi via mare la percentuale di migranti soccorsi dalle organizzazioni umanitarie è crollata dal 14%, valore stabile negli ultimi anni, al 7%. Perché mentre le Ong sono tenute fuori gioco per giorni, grazie al combinato della nuova legge con la prassi di assegnare un porto dopo il primo soccorso ma a centinaia di chilometri, gli sbarchi sono cresciuti del +134%: erano 27.633 il 30 giugno 2022, 64.930 nella stessa data del 2023. L’aumento non è solo complessivo, ma anche relativo alla Libia. Se lo scorso anno questa rotta era in testa alla classifica con circa 15mila persone nei primi sei mesi, quest’anno è stata superata da quella tunisina ma segna comunque una crescita in termini assoluti: più o meno 27.500 persone (con le partenze dalla Cirenaica leggermente superiori a quelle della Tripolitania).

Eppure le navi umanitarie, spedite al centro-nord al primo salvataggio, non sono potute rimanere a pattugliare per giorni le acque internazionali davanti alle coste libiche realizzando “soccorsi multipli”. Cioè proprio il comportamento che secondo il governo spingerebbe i migranti a partire. Così la premier Giorgia Meloni il 3 febbraio scorso: “Le Ong vogliono stare anche settimane davanti alle coste africane: prendono dei migranti e non vanno nel porto ma aspettano di riempire la nave e la vogliono portare al porto che loro ritengono. È più un servizio di traghetto che di salvataggio”.

Al di là dei numeri, cosa è accaduto in mare nell’ultima settimana? Il centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (Imrcc) ha coordinato ben sette salvataggi di navi umanitarie che stavano risalendo verso il porto assegnato: quattro per la Humanity 1 diretta a Ortona e tre per la Geo Barents in navigazione verso Marina di Carrara. Tutti lungo la rotta Tunisia-Lampedusa ma nella zona di responsabilità maltese. In pratica la guardia costiera italiana, che dipende dal ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini e intorno alla maggiore delle Pelagie è oberata di lavoro per gli sciami di barchini, ha chiesto aiuto alle Ong facendo realizzare loro proprio quei “soccorsi multipli” che il decreto del Viminale di Piantedosi vorrebbe impedire e sulla cui base sono stati realizzati anche dei fermi (l’ultimo: Sea-Eye 4 il 2 giugno).

“Siamo contenti della cooperazione con le autorità italiane. Dovrebbe andare sempre così”, dice il portavoce di Sos Humanity Lukas Kaldenhoff. Gli fa eco il capomissione di Msf Juan Matías Gil: “Siamo soddisfatti che la guardia costiera italiana si stia finalmente facendo carico dei soccorsi fuori dalla sua zona di responsabilità e ci coordini per realizzarli. È vergognoso, però, che continui a mandarci a centinaia di chilometri”.

Da notare che nelle mail che l’Imrcc invia alle Ong per indicare il luogo sicuro di sbarco è comparsa una nuova dicitura: “Il MINISTERO DELL’INTERNO (in maiuscolo, nda) italiano ha indicato il porto di…”. Sembra voler precisare chi ha la responsabilità di spedire i naufraghi dall’altra parte dell’Italia.