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di Alessandra Ziniti

La Repubblica, 5 dicembre 2022

Gli imputati rischiano fino a vent’anni. Ma a Trapani non si sa come tradurre le udienze. Darius Beigui è incredulo. Per la terza volta in tre mesi è volato dalla Germania fino a Trapani per potersi difendere nel processo in cui rischia vent’anni di carcere per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per la terza volta non ci è riuscito. Parla tedesco e non conosce l’italiano e, per incredibile che sembri, a Trapani né la polizia né la Procura sono in grado di portare in aula un interprete. È ridicolo - sbotta - La stessa Procura che si è coordinata con successo con cinque diverse agenzie di polizia, comprese le unità antimafia e i servizi di intelligence, per fermare una nave di soccorso, ha ripetutamente fallito nel garantire il diritto fondamentale ad un processo equo. Mi sembra che non vogliano nemmeno sapere cosa ho da dire”.

Darius è uno dei componenti dell’equipaggio di giovanissimi tedeschi che nell’estate 2016, a bordo della nave Iuventa della Ong Jugend Rettet, mise in salvo 2000 persone. Soccorsi effettuati grazie adi appuntamenti con gli scafisti, è la tesi della Procura di Trapani che - dopo una lunghissima indagine suffragata anche dalle prove di un infiltrato della Polizia a bordo di un’altra nave umanitaria che operava nello stesso tratto di mare e con tanto di giornalisti intercettati - ha deciso di chiedere il processo per ventuno persone, componenti degli equipaggi e volontari di tre Ong, la Jugend Rettet, Save the children e Msf. Una storia diventata anche un film realizzato dal regista Michele Cinque. 

La Iuventa, ormai ridotta ad un ammasso di rottami, è sotto sequestro da cinque anni al porto di Trapani, il processo è l’altra faccia della medaglia di quello che vede imputato a Palermo Matteo Salvini, l’unica di tante inchieste aperte sull’operato delle navi umanitarie ad essere approdata davanti ad un giudice, gli imputati e le Ong (in un momento come questo dove la flotta di soccorso civile nel Mediterraneo è di nuovo nel mirino dei governi di mezza Europa) scalpitano per difendersi e affermare il principio del dovere di soccorso delle vite umane su tutto. Ma a Trapani non si riesce a fare un processo garantendo i diritti degli imputati, e il tribunale ha deciso di ammettere in aula (il procedimento in fase di udienza preliminare è a porte chiuse) osservatori internazionali. “È la prima volta - dice l’avvocata Francesca Cancellaro - che un tribunale in Italia consente la presenza di osservatori internazionali in un’udienza preliminare dando alla società civile l’opportunità di essere direttamente informata su ciò che accade in aula”.

Surreale quanto successo al tribunale di Trapani venerdì quando, per la terza volta, si è provato ad interrogare Darius Begui. Il pm ha portato in aula come interprete un funzionario di polizia in pensione, il cui nome non è nell’elenco ufficiale. Dopo trenta minuti, l’interrogatorio è stato interrotto e la difesa si è rifiutata di firmare il verbale. “Siamo esterrefatti per quanto accaduto - racconta l’avvocato Nicola Canestrini - il verbale di interrogatorio non rispettava affatto le dichiarazioni che il mio assistito aveva fatto, quindi abbiamo chiesto di correggere ma il procuratore ha negato. Perciò non ci è rimasta altra strada che rifiutare la firma”. La Ong tedesca rivendica il diritto alla difesa: “Prendere di mira le Ong serve a giustificare le vergognose decisioni politiche di oggi e a scatenare nuovamente un attacco che criminalizza le persone in movimento e quelle in solidarietà con loro”.