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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 18 ottobre 2023

L’audizione in commissione di Mauro Palma sulla disciplina in materia di detenzione amministrativa dei migranti: no al trasferimento fino a 18 mesi: “A rischio le garanzie”. Recentemente, in commissione, è stato audito Mauro Palma, il Garante nazionale delle persone private della libertà, per un parere sul Decreto- legge che tratta delle politiche di coesione e dell’immigrazione in Italia. Il Garante, nel suo ruolo di tutela dei diritti umani, ha esaminato attentamente le disposizioni in materia di detenzione amministrativa e ha espresso gravi preoccupazioni riguardo alle implicazioni per i diritti fondamentali delle persone coinvolte. Un parere, ricordiamo, non solo opportuno per via della sua natura di Autorità di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale, ma anche obbligatorio ai sensi dell’articolo del Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (ratificato dall’Italia con legge 9 novembre 2012 n. 195) per via della sua designazione quale Meccanismo nazionale di prevenzione.

Il Garante Nazionale ha evidenziato le criticità del decreto in relazione alla detenzione ammnistrativa degli immigrati. Ha fortemente criticato l’estensione dei termini massimi di trattenimento nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (Cpr) fino a 18 mesi. Nonostante questa estensione, le statistiche dimostrano che l’efficacia del trattenimento non è direttamente proporzionale alla sua durata. Studi condotti a livello europeo confermano che periodi di trattenimento più lunghi non aumentano automaticamente le possibilità di rimpatrio, rendendo così l’estensione proposta non solo inefficace ma anche costosa e lesiva dei diritti umani.

Il Garante Nazionale ha sottolineato l’inadeguatezza strutturale del sistema di detenzione amministrativa. L’assenza di criteri chiari per la realizzazione e il funzionamento delle strutture detentive ha creato uno spazio di discrezionalità incompatibile con le garanzie costituzionali. Inoltre, l’estensione dei tempi di permanenza all’interno dei Cpr e l’applicazione del dispositivo detentivo a un numero più ampio di persone hanno evidenziato la necessità di riorganizzare completamente le strutture detentive, richiedendo investimenti proporzionati alla durata prevista.

Il decreto ha anche sollevato preoccupazioni riguardo al controllo giudiziario. Secondo il Garante, la diluizione dei controlli giurisdizionali determinata dall’estensione della validità dei provvedimenti di convalida, segna un preoccupante arretramento sul piano delle garanzie. L’affidamento a magistrati onorari, l’assenza di un’Autorità giudiziaria che svolga compiti di controllo sulle strutture e l’assenza di reclamo giurisdizionale in relazione alle condizioni di trattenimento sono aspetti che mettono a rischio i diritti delle persone trattenute.

Al di là delle considerazioni tecniche e della volontà del Governo di accelerare la realizzazione di nuove strutture avvalendosi di procedure più spedite e della necessità di superare le ostilità delle comunità e delle rappresentanze politiche locali che, per motivi vari, si oppongono alla costruzione di nuovi Cpr, secondo il Garante Palma la norma in esame sottende e legittimerebbe il preconcetto della persona migrante quale elemento di potenziale pericolo per la sicurezza nazionale e per l’integrità dei suoi confini. In tal senso, il ricorso a misure del contesto militare per la gestione di una questione molto complessa quale quella delle migrazioni, contiene un intrinseco quanto pericoloso messaggio culturale che si basa sulla falsa percezione dell’altro da sé come un nemico da cui difendersi. Questa lettura del fenomeno migratorio attraverso una logica di guerra di contrapposizione è motivo di preoccupazione.

Il Garante Nazionale, ricorda che nella sua precedente relazione al Parlamento ha evidenziato il rischio insito in questa linea di continuità tra “guerra al virus”, “guerra al fronte” e “guerra sperimentata nella povertà diffusa”. Questi mutamenti nel nostro approccio alle difficoltà, insieme ai luoghi dedicati al trattenimento e all’accoglienza dei cittadini stranieri quali opere destinate alla sicurezza e alla difesa nazionale, possono portare a una tendenza selettiva nell’accogliere persone provenienti da diverse realtà di conflitto o spinte dagli esiti di conflitti più antichi. La guerra, nel senso più ampio, non contribuisce necessariamente a maggiori capacità di accoglienza e solidarietà. Questa logica può portare a una divisione tra le persone migranti, caratterizzate principalmente dalla loro “irregolarità”, con l’irregolarità stessa che diviene la sintesi dell’intera vita della persona, senza considerare la complessità dei percorsi migratori individuali.

Considerata la motivazione di base del provvedimento attuale, che mira all’incremento dei rimpatri delle persone straniere in posizione di irregolarità, il Garante Nazionale ritiene che sia suo compito sottoporre all’attenzione del Parlamento la questione relativa all’inadeguatezza e alla lacunosità di tale disciplina. L’accompagnamento coatto, che implica spesso prassi di coazione fisica di particolare intensità e controlli di sicurezza invasivi, avviene in assenza di una norma che regoli compiutamente l’agire coercitivo delle autorità di pubblica sicurezza in questo contesto. Manca un sistema puntuale di documentazione degli accadimenti e delle procedure implementate, il che rende difficile garantire la tutela dei diritti delle persone soggette a rimpatrio attraverso vie giurisdizionali. Così come non si adegua alle normative internazionali.

Queste carenze, per Mauro Palma, non sono da sottovalutare. In primo luogo, riguardano il possibile ricorso all’impiego della forza e all’utilizzo di strumenti contenitivi: azioni esercitate senza una disposizione specifica di legge, tipizzata per tali operazioni, che disciplini compiutamente le relative modalità e prescriva la tipologia degli strumenti di coazione previsti nell’equipaggiamento del personale di scorta, il regime di applicazione, il personale autorizzato, gli aspetti di tutela della salute, gli obblighi di comunicazione e registrazione dell’evento. Inoltre, sotto il profilo delle garanzie, costituiscono motivo di riflessione le verifiche di sicurezza sulle persone, talvolta realizzate con modalità invasive simili alle perquisizioni personali.

Poiché la tracciabilità e la verificabilità dell’attività delle Autorità nell’ambito della privazione della libertà costituiscono garanzie fondamentali per consentire il controllo sul rispetto dei limiti posti all’esercizio dei poteri statali, il Garante Nazionale ribadisce l’importanza di prevedere un sistema di registrazione su una piattaforma elettronica di ogni evento significativo di un’operazione.

Davanti all’investimento sempre crescente e massiccio nell’attività di rimpatrio registrato in questo ultimo quarto di secolo, il Garante ritiene che non si possano più ignorare le carenze di un quadro normativo che ancora stenta ad assimilare le parole pronunciate dalla Consulta oramai 22 anni fa: “Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”. Questa pronuncia, secondo il Garante, dovrebbe guidare qualsiasi legislazione relativa ai rimpatri forzati. La mancanza di una normativa adeguata non solo mina i diritti fondamentali delle persone coinvolte ma indebolisce anche i principi democratici su cui è fondata la Repubblica italiana.