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di Angela Gennaro

Il Domani, 28 giugno 2024

Secondo i giudici il centro libico di coordinamento dei soccorsi e la cosiddetta guardia costiera libica non possono essere considerati legittimi attori di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. Le autorità italiane sono state condannate a pagare le spese legali alla ong Humaniy I. Per la prima volta un tribunale italiano sancisce l’illegittimità del coordinamento di Tripoli in mare, “appaltato” alla Libia da Italia ed Europa. Definitivamente annullato il provvedimento di fermo amministrativo della nave umanitaria Humanity 1.

Un altro tribunale italiano dà ragione alle organizzazioni non governative di soccorso in mare contro il decreto Piantedosi. E, per la prima volta, sancisce il principio per cui le navi che non rispettano le istruzioni della cosiddetta guardia costiera libica e il coordinamento delle operazioni di salvataggio in mare da parte di Tripoli “non stanno assumendo comportamenti pericolosi ma anzi sicuri e nel rispetto del diritto del mare, perché la Libia non può fare search and rescue: il paese non può essere mai considerato un porto sicuro dove riportare le persone salvate”, dice Cristina Laura Cecchini, avvocata di Sos Humanity.

Il ricorso - Il tribunale civile di Crotone ha annullato il sequestro amministrativo deciso il 4 marzo scorso dal Viminale guidato da Matteo Piantedosi alla nave di soccorso Humanity1. La detenzione, per il giudice Antonio Albenzio, è stata illegale. La corte - questa la novità - “ha inoltre ritenuto che il centro libico di coordinamento dei soccorsi e la cosiddetta guardia costiera libica non possono essere considerati legittimi attori di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo”, spiegano dalla ong tedesca.

Il ministero delle Infrastrutture e Trasporti, quelli dell’Interno e delle Finanze, la questura di Crotone e la Guardia di finanza sono stati condannati a risarcire la ong con oltre 14mila euro per le spese. Dopo la decisione del tribunale di Brindisi nei mesi scorsi sulla Ocean Viking di Sos Mediterranèe “non è la prima decisione positiva sui fermi”, spiega Cecchini. “Ma è assolutamente la prima volta che viene sancito da un tribunale il principio per cui le navi che non rispettano le istruzioni dei libici stanno rispettando il diritto internazionale, perché la Libia non può fare attività di ricerca e soccorso”.

Attività che invece, da anni, l’Unione europea e l’Italia provano ad “appaltare” a Tripoli, finanziando ed equipaggiando il centro di coordinamento e la cosiddetta guardia costiera libica nel tentativo di “intercettare i rifugiati nel Mediterraneo centrale in violazione del diritto internazionale e riportarli in Libia”. La sentenza, di fatto, aggiunge un ulteriore tassello, dopo che a febbraio la Corte di Cassazione - dopo anni di denunce della società civile e delle organizzazioni internazionali - aveva detto nero su bianco che la Libia non può essere considerata un “porto sicuro”. “Ci auguriamo che la sentenza contribuisca a porre fine a queste forme illegittime di cooperazione, come quelle praticate dall’Italia con la Libia e, recentemente, con la Tunisia”, dice Cecchini.

Cos’è successo - Il 2 marzo 2024, l’equipaggio della Humanity 1 viene minacciato, armi alla mano, dalla cosiddetta guardia costiera libica che interrompe violentemente un’operazione di salvataggio in corso da parte della nave umanitaria. “Indietro, indietro, sparo!” gridano gli uomini sulla motovedetta libica. Ci sono persone in acqua. È l’aereo di pattugliamento Seabird 2, della ong tedesca Sea Watch, a riprendere la scena. “L’equipaggio della Humanity non ha avuto altra scelta che guardare mentre circa 50 persone venivano costrette a salire sulla motovedetta per essere rimpatriate illegalmente in Libia, il paese da cui hanno tentato di fuggire”, raccontano dalla ong.

La Humanity 1 riesce comunque a soccorrere 77 persone in tre operazioni e sbarcare due giorni dopo a Crotone. Alla nave viene imposto il fermo amministrativo di 20 giorni, sulla base di mail inviate alle autorità italiana dalla guardia costiera libica, per non aver rispettato le indicazioni di Tripoli e per aver creato “situazioni di pericolo durante le operazioni Sar”, si legge nel decreto di fermo impugnato da SOS Humanity.

Per il giudice di Crotone è “circostanza indiscussa e documentata che il personale libico fosse armato e avesse anche sparato”, e “costituisce circostanza desumibile dalla corrispondenza agli atti che nessun luogo sicuro risulta essere stato reso noto dalle stesse autorità libiche intervenute per coordinare le operazioni di recupero dei migranti sul posto”, si legge oggi nella sentenza. Tradotto: vogliamo proprio far salvare persone in mare ai libici? Non devono essere armati né violenti, ça va sans dire, e non devono neanche riportare quelle persone in Libia. Le riportano in Libia? Il loro coordinamento è illegittimo.

“Né può ritenersi conforme ai parametri internazionali l’attività posta in essere dalla guardia costiera libica, neppure laddove si ritenga esecutiva degli accordi sottoscritti tra il governo italiano e quello libico, in tema di individuazione del luogo di sicurezza rilevante ai fini della operazioni di salvataggio”, si legge ancora nella sentenza. D’altra parte “nessuna condotta ostativa è riscontrabile nei confronti della ong coinvolta”, che invece “è risultata l’unica imbarcazione a intervenire per adempiere, nel senso riconosciuto dalle fonti internazionali, al dovere di soccorso in mare dei migranti”.