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di Alessia Candito

La Repubblica, 21 ottobre 2022

Un deputato tunisino sta seguendo la vicenda iniziata a Lampedusa: “Macché tratta di esseri umani, nello zaino di Linda le cartelle cliniche della sorella”. Linda adesso sta meglio. A quattro giorni dal suo arrivo a Lampedusa, dopo una spaventosa traversata di oltre trenta ore che a soli quattro anni ha affrontato da sola, ha ricominciato a dormire e a mangiare.

Nella comunità educativa in cui è stata trasferita, inizia anche timidamente a relazionarsi con gli altri bambini, a giocare un po’. Poi però ci sono i momenti in cui si rabbuia. “Dov’è la mia sorellina, dove sono mamma e papà?”, chiede. “Perché - insiste - non sono ancora venuti a prendermi?”.

Domanda assai difficile a cui rispondere per gli operatori. Perché i genitori di Linda non sono né morti, né dispersi. Anzi, se ne conosce perfettamente l’ubicazione. Da lì però non si possono muovere, perché dalla notte in cui il barcone è partito sono prigionieri nel carcere tunisino di Monastir. Quando, terrorizzati, si sono rivolti alle autorità per segnalare che la figlia di soli quattro anni era su una carretta del mare in quelle ore in viaggio verso l’Italia, sono finiti in manette. L’accusa? Abbandono di minore, inizialmente. Adesso però le contestazioni rischiano di diventare assai più gravi.

“È una vicenda surreale, quello che sta succedendo, impensabile”, sbotta Majdi Karbai, deputato di Attayar, il partito socialdemocratico tunisino. È a lui che gli zii della bambina si sono rivolti quando i genitori della piccola sono finiti in carcere e di lei si è persa ogni traccia. “Tutto, a partire da quello che è successo quella notte, ha dell’incredibile”, dice.

I genitori della piccola non hanno scelto di partire. Di fatto, sono stati costretti. La sorellina di Linda ha una grave forma di cardiopatia, ma in Tunisia c’è almeno un anno di attesa per un ricovero programmato. In più, la crisi economica che ha fatto schizzare alle stelle il prezzo di farina, olio e alimenti di base, ha quasi portato sul lastrico il padre, piccolo imprenditore del settore street food. Per lui, racconta Majdi Karbai, è diventato impossibile anche comprare le medicine per la bambina. Per questo insieme alla moglie ha deciso di tentare la traversata, portando con sé le bambine.

Quella notte erano tutti insieme sulla spiaggia di Mahdia. Al segnale stabilito, sono entrati in acqua per raggiungere il barcone ormeggiato poco distante. Il papà era avanti, con la bimba di quattro anni sulle spalle. La moglie dietro, insieme all’altra figlia. Ma la donna subito ha iniziato ad avere difficoltà. Inzuppati d’acqua, i vestiti hanno iniziato a trascinarla a fondo, il marito ha raggiunto in fretta il barcone, lasciato lì la bambina, quindi è tornato indietro ad aiutare la moglie. Le sue urla però hanno messo in allarme gli scafisti che improvvisamente hanno tagliato gli ormeggi e spinto via il barcone. Chi era a bordo, ha pensato che l’imbarco fosse concluso, ha acceso il motore e si è allontanato. Linda è rimasta da sola. Disperati i suoi, appena tornati a riva si sono subito rivolti alle autorità.

“Ingenuamente - spiega il deputato Karbai - hanno pensato che li avrebbero aiutati a individuare la bambina all’arrivo in Italia e a farla rimpatriare”. Invece si sono ritrovati con le manette ai polsi. A complicare la situazione, gli oltre 24mila dinari - circa 7mila euro, tutti i loro risparmi - che la coppia portava con sé. “Li hanno accusati di voler coprire un traffico di esseri umani, di aver venduto la figlia. Quel denaro per loro era frutto di quel traffico. Ma perché qualcuno dovrebbe fare denuncia dopo aver commesso un reato?”, osserva Karbai.

Nel merito, il procuratore generale di Monastir non si è ancora pronunciato. L’udienza di convalida fissata per ieri è slittata e il fermo per i due è stato prolungato per altre 48 ore. “I familiari della coppia - racconta il deputato - mi hanno detto che nello zainetto della bambina ci sono tutte le cartelle cliniche della sorella. Quella è la prova che il racconto dei due genitori è vero, che stavano solo cercando di dare un futuro alla loro bambina che in Tunisia non avevano la possibilità di curare. Spero diventino una sorta di messaggio nella bottiglia e lo trovi qualcuno che abbia davvero voglia di dare una mano”.