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di Paolo Foschini

Corriere della Sera, 2 settembre 2023

Fu lasciata sola nonostante le violenze. La ragazza aveva sedici anni e nonostante fosse arrivata sola, abusata, è stata lasciata senza protezione prima a Reggio Calabria poi a Como nella “prolungata inerzia delle autorità nazionali”. Fino all’intervento di Asgi e Intersos.

La brutta notizia per l’Italia è che il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani per non avere accolto adeguatamente una ragazza del Ghana, minorenne, già vittima di accertate violenze in Libia, lasciandola per mesi in centri di accoglienza tra persone adulte, senza alcuna protezione, in violazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, complice anche una “prolungata inerzia delle autorità nazionali riguardo alla sua situazione e ai suoi bisogni di minore”. La buona notizia, se non altro, è appunto quella per cui la Corte ha riconosciuto da una parte i fatti dall’altra il diritto della ragazza a ottenere un risarcimento: come è stato segnalato dalla Associazione studi giuridici italiani (Asgi) e l’organizzazione umanitaria Intersos, che hanno supportato il ricorso della ragazza.

La giovane, M.A., era giunta sulle coste italiane nell’ottobre 2016. Pur essendo stata fin da subito identificata come minore straniera non accompagnata, venne ospitata inizialmente presso il Centro “Capitaneria” a Reggio Calabria priva della necessaria assistenza e tutela e in condizioni materiali degradate, in una struttura definita dalla Procura come un luogo non idoneo al suo sviluppo psicofisico, per il sovraffollamento e le pessime condizioni sanitarie. In questo centro di accoglienza i minori ospitati non beneficiavano di alcun servizio, non percepivano alcun tipo di aiuto né economico né materiale ed erano lasciati privi di tutore. Trasferita successivamente presso un altro centro per minori, ma visto il permanere della sua condizione di incertezza sia suol fronte giuridico sia su tutto il resto, la ragazza se ne anò e raggiunse il Nord. Giunta a Como, fu accolta per otto mesi nel centro di accoglienza prefettizio di Via Teodolinda vivendo in un container in una situazione di promiscuità con persone adulte di nazionalità diversa senza nessuna effettiva presenza di educatori né operatori durante la notte.

Fin da subito la ragazza dichiarò di essere stata vittima di violenze sessuali. Una psicologa di Medici senza Frontiere certificò che la ragazza “era stata esposta a molteplici esperienze traumatiche nel corso della sua vita quali abusi, molestie e violenze sessuali” e che “la permanenza nel Centro, dove i minori non accompagnati venivano accolti insieme agli adulti e dove non esistevano servizi adeguati ai bisogni delle vittime di violenza sessuale, rischiava di aggravare la sua fragile condizione psicologica”. Tanto la procedura di protezione internazionale quanto la richiesta di collocamento in strutture idonee alle vulnerabilità subirono numerosi ritardi a causa della sostanziale inazione dei tutori nominati dai giudici su richiesta di Asgi e Intersos. Per tre volte Asgi sollecitò anche in seguito un trasferimento in una struttura più idonea. Senza risultato. A quel punto, supportata dalle due organizzazioni, M.A. si rivolgeva alla Corte europea. Ventiquattr’ore dopo il ricevimento dell’istanza la Corte stessa ordinò il trasferimento immediato della ragazza.

Ora è ancora Asgi a ricordare che “nel periodo 2016-2017 la situazione a Como si caratterizzava per un’alta presenza di migranti che tentavano di attraversare il confine italo-svizzero subendo molteplici riammissioni e, per un breve periodo, trasferimenti all’hotspot di Taranto”, aggiungendo che “dal settembre 2016 al dicembre 2018 i migranti vennero ospitati presso il centro di istituzione prefettizia di Via Teodolinda”, dove “minori, donne e persone vulnerabili convivevano, in condizioni di promiscuità, in uno spazio caratterizzato dall’inadeguatezza dei servizi, in condizioni di disagio alleviate dall’intervento delle organizzazioni umanitarie”.

La sentenza ora pubblicata dalla Corte europea conclude: “La permanenza della ricorrente nel centro Osvaldo Cappelletti, che apparentemente non era attrezzato per fornirle un’adeguata assistenza psicologica, insieme alla prolungata inerzia delle autorità nazionali riguardo alla sua situazione e ai suoi bisogni di minore particolarmente vulnerabile, ha costituito una violazione del suo diritto a non essere sottoposta a trattamenti inumani, come tutelato dall’articolo 3 della Convenzione”. I giudici di Strasburgo hanno così condannato l’Italia a un risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla giovane in violazione dell’art. 3 della Corte europea (divieto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti).

“Questa sentenza che riguarda un caso del 2017 - sottolinea Asgi in una nota - evidenzia come la situazione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti da tempo serie criticità che impediscono di affrontare adeguatamente la tutela di chi arriva in Italia già vittima di abusi e sofferenze causate anche da pericolosi percorsi migratori dove sono stati costretti a vivere in situazioni di vulnerabilità per la mancanza di vie legali. Risulta inaccettabile che minori e persone vulnerabili debbano subire ulteriori sofferenze in un sistema di accoglienza che non mette al centro la protezione della dignità umana e il superiore interesse dei minori, nonostante vi siano delle normative che da tempo l’Italia ha adottato ed è tenuta ad applicare”.