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di Marco Grimaldi*

L’Unità, 9 luglio 2023

La premier spieghi al Parlamento se i campi di concentramento sono la “dimensione esterna” di cui parlano lei e Piantedosi. Altro che “piano Mattei”, diamo il controllo delle frontiere in appalto a dittatori e trafficanti. A partire dal 2 luglio, le autorità tunisine hanno espulso fra i 500 e i 700 migranti provenienti dall’Africa centrale e occidentale richiedenti asilo, fra cui bambini, neonati e donne incinte. Li hanno condotti nei pressi di una zona militarizzata ai confini con la Libia (vicino a Ben Guerdane) il cui accesso è interdetto a giornalisti, agenzie Onu e società civile. Minacce, pestaggi e violenze, naturalmente mancanza di assistenza medica e ostetrica, sequestro di cellulari e distruzione di passaporti da parte delle forze di sicurezza tunisine.

Tutto è cominciato da Sfax, città teatro di numerosi e violenti scontri tra popolazioni locali e migranti subsahariani insediati nella città. Con questo pretesto, le autorità tunisine hanno effettuato nei giorni scorsi un’ondata di arresti seguiti da deportazioni forzate e illegali, con l’obiettivo di epurare la città da ogni persona di origine sub-sahariana. I video che circolano sui social mostrano una moltitudine di autobus in arrivo da Sfax e diretti verso il confine tunisino-libico con a bordo migranti. Queste persone vengono abbandonate in luoghi deserti, con temperature che si avvicinano ai 50 gradi, senza assistenza e senza risorse.

Diverse fonti attendibili parlano di un gruppo di 28 persone che risulta scomparso, mentre un altro gruppo di 20 persone è stato deportato nella zona di frontiera di Ras Jedir. I testimoni riferiscono che le autorità, inclusi agenti di polizia, membri della Guardia Nazionale e ufficiali militari, hanno fatto irruzione nella casa in cui si trovavano, per poi arrestarli e deportarli. Finora nessuna comunicazione ufficiale è stata diramata dalle autorità, che hanno agito basandosi sulla presunzione che i cittadini stranieri siano passati dalla Libia o dall’Algeria prima di entrare in Tunisia. Siamo ovviamente di fronte a una palese violazione delle disposizioni della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, ratificata dalla stessa Tunisia nel 1957.

La Libia, priva di una legislazione sul diritto d’asilo, non può in alcun modo essere considerata un Paese sicuro: violenze, tortura e schiavitù ai danni dei migranti sono state più volte documentate. E la Tunisia? Da mesi assistiamo al progressivo deterioramento dei diritti umani e della situazione politica, economica e sociale del Paese. Lo scorso anno il Presidente della Repubblica Saied ha sciolto il Parlamento e assunto i pieni poteri, invocando un “pericolo imminente per il Paese”. Da allora ha fatto approvare una nuova Costituzione e un nuovo controverso sistema elettorale: alle elezioni dello scorso dicembre ha votato solo l’8,8 per cento degli aventi diritto. Da mesi scarseggiano da mesi beni di prima necessità come il petrolio, lo zucchero, il latte e il burro.

A seguito delle grandi manifestazioni per chiedere le dimissioni di Saied, le autorità hanno attuato misure gravemente repressive e arrestato attivisti politici, membri del Parlamento tunisino, magistrati, sindacalisti e molte altre persone. A febbraio, il Presidente ha parlato di “un piano criminale per cambiare la composizione demografica del paese” e di “individui che hanno ricevuto grosse somme di denaro per dare la residenza ai migranti subsahariani”. Oggi, le notizie sulle deportazioni dei migranti annunciano un vero e proprio disastro umanitario. Per queste molteplici ragioni, a tutti gli effetti, la Tunisia non è un Paese sicuro per il rimpatrio dei migranti. Eppure, il 19 gennaio i ministri Tajani e Piantedosi sono stati in visita a Tunisi per discutere “il rafforzamento della cooperazione bilaterale sui temi della sicurezza, dello sviluppo e delle politiche migratorie”.

Italia e Tunisia hanno firmato diversi accordi per la gestione congiunta della migrazione, il controllo delle frontiere e l’espulsione dei cittadini irregolari e l’accordo di rimpatrio tra Italia e Tunisia è sistematicamente attuato al punto che i rimpatri forzati in Tunisia rappresentano il 73,5 per cento del totale dei rimpatri effettuati dall’Italia. L’Unione europea sta negoziando con la Tunisia un “partenariato rafforzato”, accompagnato da promesse di aiuti finanziari in cambio di una maggiore cooperazione in materia di migrazione, ossia un’intensificazione della riammissione dei migranti in situazione irregolare e un consolidamento del ruolo della guardia costiera tunisina nelle intercettazioni in mare.

Già a fine febbraio abbiamo depositato un’interrogazione parlamentare per chiedere non solo di fare pressione, insieme ai partner europei e internazionali, sul Presidente Saied affinché cessi immediatamente la repressione e rilasci tutti i prigionieri politici, ma di chiarire se davvero il governo crede che vi siano le condizioni di rispetto dei diritti umani tali da considerare la Tunisia un paese sicuro per il rimpatrio dei migranti. Nel frattempo, si conferma la decisione della Corte europea di denunciare l’Italia per le espulsioni di tunisini verso la Tunisia. La decisione risale al 30 marzo ma dal 30 giugno è definitiva, perché l’Italia non ha presentato ricorso. Nonostante ciò, oggi, in un contesto estremamente peggiorato, l’Italia pensa di poter espellere anche i subshariani in questo Paese.

Si continua a stringere accordi, fare affari o addirittura sovvenzionare (come nel caso di Erdogan) regimi che sottraggano alla nostra vista e al nostro mare chi scappa da guerre, fame, carestie, emergenza climatica. Blindare le frontiere, aumentare i rimpatri e siglare accordi con i Paesi di origine dei migranti per impedire le partenze. Questa è l’idea dei sovranisti. Uno degli effetti collaterali delle politiche di chiusura consiste in un aiuto alle organizzazioni criminali che sfruttano i migranti, proprio quelle che il governo dichiara di voler perseguire lungo tutto l’orbe terracqueo.

Imad Trabelsi, ministro dell’Interno libico, è stato accolto a Palazzo Chigi insieme a una delegazione del governo di unità nazionale. Sul piatto accordi energetici e un’intensificazione degli sforzi per contrastare il traffico di migranti. Trabelsi è stato individuato da Amnesty e Onu come uno dei principali capi del traffico di esseri umani in Libia e destinatario di fondi ottenuti illegalmente con il traffico di petrolio. Costui non è stato certo arrestato in base al decreto Cutro, i suoi beni non sono stati confiscati, è stato invece ricevuto con un picchetto d’onore.

Mi piacerebbe sapere dalla Presidente Meloni se è questa la “dimensione esterna” di cui parla e su cui ci dovremmo concentrare. Altro che sviluppo e “piano Mattei”, qui siamo alla riproposizione sfacciata dell’esternalizzazione delle frontiere, data in appalto a dittatori e trafficanti fintamente ripuliti. Dietro tutto ciò, però, ci sono vite umane a cui riserviamo morte, violenza e torture. Di tutto questo è responsabile chi deciderà di continuare sulla strada degli accordi con la Tunisia. Per questo chiediamo alla Presidente Giorgia Meloni di venire in Aula urgentemente per informare.

*Vicecapogruppo Alleanza Verdi Sinistra alla Camera