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di Irene Famà

La Stampa, 17 luglio 2023

Proteste dei Comuni dal Piemonte al Veneto. Le Regioni al governo: “Basta scelte imposte”. Gli slogan in campagna elettorale erano tutti dello stesso tenore: “Basta sbarchi”, “Difesa dei confini”. Si urlava all’”invasione” e l’umana solidarietà era tacciata di buonismo. Chi scappa dalla guerra, dai regimi, dalla fame, dalla povertà ha continuato a scappare. A cercare rifugio e una possibilità in Italia. Gli sbarchi proseguono, aumentano. E nei territori chiamati ad accogliere, dal Piemonte al Veneto, monta la protesta. Perché, dicono, “mancano progetti seri e condivisi”, “manca un preavviso adeguato”.

Dal primo gennaio fino a ieri, sulle coste italiane sono sbarcati oltre 75mila migranti: 43mila in più del 2022. Lasciano la Costa d’Avorio, Guinea, Egitto, Bangladesh, Pakistan. E sempre di più fuggono dal caos della Tunisia. Arrivano in Italia. E i comuni vengono chiamati all’accoglienza in base alla popolazione residente, alla disponibilità immobiliare e alle cooperative.

Iter e malumori. Si inizia da piccoli comuni del Piemonte, come Bibiana che conta 3400 abitanti. Lì, in Val Pellice, il sindaco Fabio Rossetto l’ha detto chiaro: non è favorevole ad ospitare 50 profughi in una vecchia Rsa. “Servono analisi, approfondimenti, definizione degli obiettivi, valutazione degli impatti sul territorio”. E ancora. “Ospitiamo già 337 stranieri. E poi un conto è l’accoglienza diffusa, un altro è trovarsi cinquanta persone da un giorno all’altro”. Altro esempio. Forno Canavese. A parlare è il sindaco Alessandro Gaudio: “Aspettavamo venti persone, ne sono arrivate 64”.

Animi tesi nel vicentino dove diversi sindaci hanno denunciato l’arrivo di migranti senza preavviso: “Scaricati come pacchi davanti ai municipi”. Come il sindaco di Castelgomberto, Davide Dorantani, che ha scritto anche una lettera al Prefetto dicendo che quei tre ragazzi, due tunisini e uno del Gambia, non potevano stare lì, negli spogliatoi di un campo di calcio. Ieri, la Prefettura ha mandato un pulmino a prenderli. Saranno riassegnati a un altro comune. Oltre duemila chilometri, il mare, gli scafisti: no, il viaggio della speranza di questi tre giovani non si è ancora concluso.

I numeri di chi chiede asilo aumentano: 3.970 le persone arrivate a Torino e provincia nell’ultimo mese, 900 in più dell’anno scorso. Quasi tremila in più gli arrivi in Veneto rispetto al 2022. E le Regioni aprono con il governo il fronte delle collocazioni e dell’accoglienza nei propri territori. Il governatore Zaia, voce fuori dal coro rispetto ad altri della Lega, ha chiesto di investire il più possibile sull’ospitalità diffusa contro la “realizzazione di altre tendopoli”. E ancora. “Il mio Veneto non ce la fa più e tutta l’Africa in Italia non ci può stare”.

Numeri e polemiche gravano sullo stato di emergenza nazionale, dichiarato l’11 aprile scorso. E le Regioni chiedono “decisioni comuni”, non “scelte imposte”. Un appello che tiene insieme un po’ tutto: niente arrivi all’improvviso, pensare e coordinarsi sui progetti. “Bisogna evitare decisioni calate dall’alto. C’è bisogno di una collaborazione che porti a scelte prese di comune accordo”, ribadiscono vari presidenti di regione.

Il Viminale cerca di stemperare gli animi e assicura “la massima disponibilità al dialogo con tutti gli interlocutori istituzionali”. E il commissario Valerio Valenti commenta: “Stiamo stressando il territorio per l’aumento degli arrivi, che è fisiologico in estate, ma il sistema tiene e questi problemi ci sono sempre stati”. Nel 90% dei casi, dice, “il sistema di collocazione dei migranti ha funzionato e funziona. Ci sono state ricadute più forti su qualche territorio, ma sono criticità che nascono da situazioni specifiche”.

Ieri solo a Lampedusa sono sbarcati quasi in mille e nelle ultime ore lo stesso hotspot, prima che iniziassero i trasferimenti, aveva raggiunto 2.304 ospiti. E il commissario Valenti annuncia: “Stiamo lavorando a nuove aree esclusivamente temporanee e appositamente dedicate in Sicilia e Calabria per poter sopportare il significativo aumento del carico di arrivi con la creazione o l’implementazione di ‘punti di crisi’, ovvero aree di primissima accoglienza, come abbiamo fatto a Lampedusa”.