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di Piero Sansonetti e Angela Nocioni

L’Unità, 27 dicembre 2023

Perché Roma ha avviato i soccorsi con ore di ritardo? Perché dice di averlo fatto “per conto dei libici”? Perché non ha detto che la nave Asso 30 era lì Per la strage avvenuta nel Mediterraneo tra il 14 e il 15 dicembre sono sempre più chiare le responsabilità delle autorità italiane. Primo, per essere intervenute in ritardo, provocando la morte di almeno 61 persone, tra le quali alcuni bambini. Secondo, per avere permesso, anzi favorito, il trasferimento - cioè la deportazione - in Libia dei 25 superstiti. Dei quali non sappiamo più nulla.

È un comportamento che viola leggi e regole nazionali e internazionali. Quale strategia guida il nostro governo? Sembrerebbe una strategia piuttosto semplice. Quella che potremmo chiamare del push factor. Il calcolo è questo: oggi ci sono un po’ meno di dieci morti affogati al giorno, e gli sbarchi sono 150 mila all’anno. Forse - si immagina - se i morti aumentassero, magari a 20 al giorno, gli sbarchi potrebbero dimezzarsi. La strategia non ha nessuna possibilità di funzionare. In ogni caso è una strategia criminale. La magistratura per ora è impegnata con la Ferragni, ed è giusto così: quando avrà risolto la questione del pandoro, magari se ne occuperà.

Il Comando delle capitanerie di porto della nostra Guardia costiera si comporta come se l’Italia fosse la Russia di Putin o il Nicaragua di Ortega. E né il Parlamento né la maggior parte dei giornali italiani gliene chiedono conto. Il Comando (l’Mrcc di Roma) è il comando di un corpo di un paese democratico, con degli obblighi di informazione e di trasparenza su quanto fa o omette di fare. Eppure si rifiuta da giorni di rispondere a domande su come, quando e con chi ha agito il 14 dicembre scorso nella operazione di soccorso a naufraghi in acque internazionali, avviata con un ritardo di ore, in cui sono morte 61 persone e 25 sono state salvate dall’annegamento per poi essere deportate illegalmente a Tripoli e rinchiuse nelle gabbie di Tarek Al Sika.

L’Mrcc di Roma ha ricevuto alle 17 l’allarme di Alarmphone che ha inviato la posizione Gps del gommone sgonfio con 86 persone a bordo, posizione poi aggiornata con successivo messaggio un’ora dopo. Perché il Mrcc di Roma si è occupato di allertare i soccorsi con messaggio satellitare Inmarsat soltanto alle 21,40 dopo aver diffuso un Navtex soltanto alle 19,26? Il Comando delle capitanerie di porto si rifiuta di spiegarlo. La responsabilità di coordinamento di quel soccorso è stata assunta di fatto dalle autorità italiane, anche se tardi. Il Mrcc non ha mai detto nemmeno che sulla scena del naufragio c’era anche una nave italiana, il rimorchiatore Asso Trenta. Lo si è saputo perché l’ha scoperto Sergio Scandura di Radio radicale monitorando i movimenti in quello specchio di mare. Perché l’Mrcc l’ha taciuto? Ha partecipato ai soccorsi la Asso Trenta? E perché non ha preso a bordo nessuno? Si è preferito non far mettere piede a naufraghi su una nave italiana per evitare che venissero portati in Italia? La Asso Trenta risulta in zona fino alle prime ore del 15 dicembre, poi è tornata alla sua base nei pressi delle piattaforme offshore di Bouri Field, campo petrolifero controllato dai libici, cogestito da imprese italiane. (Una nave della stessa compagnia della Asso 30, il rimorchiatore d’altura Asso 28 anni fa ha soccorso naufraghi e li ha deportati in Libia. Per averli consegnati ai libici il comandante è stato condannato, sentenza confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Napoli).

Il fatto che il rimorchiatore Vos Triton - che su ordine dell’Mrcc ha effettuato nella notte tra il 14 e il 15 dicembre il salvataggio - batta bandiera di Gibilterra, nulla toglie al fatto che chi ha lasciato che i sopravvissuti fossero sbarcati in Libia - il comandante del rimorchiatore ma anche chi da Roma ha coordinato il soccorso lasciando che poi decidesse la Libia dove portarli - ha violato consapevolmente una serie di norme internazionali. Innanzitutto l’art.33 della Convenzione di Ginevra e il divieto di respingimenti collettivi imposto agli Stati membri dalla Cedu e l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. I naufraghi vanno sbarcati nel porto assegnato, che deve però essere il porto sicuro più vicino. Altrimenti quell’ordine va disobbedito. Porto sicuro non può essere considerato il territorio libico dove i sopravvissuti vengono illegalmente detenuti e torturati.

L’Mrcc di Roma ha detto di aver diramato un avviso di soccorso “per conto della guardia costiera libica”. Deve dire quando l’ha fatto, e perché l’ha diramato “per conto dei libici” visto che la Libia non è porto sicuro. E deve dire se si è occupata subito, alle 17, di accertare che le bande di trafficanti di cui è composta la guardia costiera libica avessero mandato subito sul punto del naufragio delle motovedette. Cosa che non risulta abbiano fatto. D’altronde non fanno mai soccorsi, fanno soltanto catture.

L’impressione è che anche questa volta il Comando delle capitanerie di porto di Roma abbia omesso di effettuare un soccorso tempestivo nascondendosi dietro la finzione che se ne sarebbero occupati i libici soltanto perché il gommone era in zona Sar libica, cioè in acque internazionali nel quadrante dove il soccorso è teoricamente affidato ai libici. Perché dentro la Guardia costiera, corpo fatto di gente di mare che ha sempre salvato vite e che continua a salvarne tutti i giorni, nessuno si ribella a lasciar morire naufraghi in mezzo al mare fingendo di aspettare che se ne occupino i libici?

La Guardia costiera può escludere che questa volta la strage sia avvenuta per un buco nero nella catena dei soccorsi da cercare al Centro nazionale di coordinamento al Viminale? Si tratta di una struttura istituita con decreto del capo della Polizia il 20 gennaio 2012, modificato con pari decreto in data 26 ottobre 2015, con il nome National Coordination Center/Eurosur (Ncc). Perché nessuno nella Gc denuncia pubblicamente, ma dice solo anonimamente, che i vertici del Comando delle capitanerie di porto si lasciano ultimamente sempre piú sopraffare da quel centro al Viminale al quale potrebbero rivolgersi solo per l’assegnazione del porto di sbarco? Lo fanno per compiacere chi?

Lì all’Ncc al Viminale prendono in mano la situazione quando c’è da organizzare un’operazione di polizia invece di un’operazione di soccorso marino. E se accade che operazioni di soccorso vengono trattate come se fossero operazioni di contrasto alla immigrazione clandestina (e diventano spesso naufragi senza salvataggi) è anche perché la Guardia costiera è stata scippata di molte sue funzioni. E se le è lasciate scippare.

Quando il Centro di comando delle capitanerie di porto riceve un allarme per nave a rischio naufragio - e qualsiasi gommone sovraccarico lo è, tanto più se ci sono onde alte 2 metri e mezzo - deve attivare i soccorsi. È suo dovere farlo. Fonti della Guardia costiera spiegano invece che ormai l’Mrcc di Roma molto spesso invece di avviare subito i soccorsi avvisa l’Ncc, cioè il Viminale, che ci sono in mare potenziali naufraghi i quali, se non affogano nel frattempo, potrebbero essere considerati potenziali migranti da respingere con operazione di polizia. Affidata spesso e volentieri ai miliziani libici.

La Guardia costiera ha forse l’obbligo di legge di avvisare prima di avviare i soccorsi questa struttura al Viminale? No. E’ un compito di rango amministrativo al quale la Guardia costiera si sottomette volontariamente ogni volta per decisione di singole persone. Lo scippo avviene tecnicamente perché chi sta di turno al Mrcc di Roma si preoccupa di attenersi a questa norma amministrativa che non configura nessun obbligo reale.

Anche questa volta è andata così? Perché un allarme ricevuto alle 17 è stato ignorato per ore? Perché è avvenuta una strage nonostante da dieci ore il gommone fosse osservato dal cielo da ben tre missioni di voli Frontex? La notte di Natale la nave Sea watch 5, nave di ong, ha salvato in quella stessa zona di mare 118 persone. Porto assegnato dal Viminale: Massa Carrara. Porto lontano, come vuole il decreto Piantedosi che per spazzare via dal Mediterraneo centrale le navi delle ong le obbliga a sbarcare i sopravvissuti in porti lontani. Questo porterà la Sea watch 5 per giorni lontano dal Mediterraneo centrale dove le condizioni meteomarine sono in peggioramento.