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di Marco Bascetta

Il Manifesto, 19 novembre 2023

Un colpo di teatro modello: in Europa, e in Germania, l’idea di trasferire in paesi terzi l’”aggravio” di accoglienza, procedure per l’asilo e respingimenti non è affatto disdegnata. Ogni politica è sempre anche un gioco di finzioni, un’arte del far credere, del “come se”. E nei casi in cui la complessità o l’enormità di un fenomeno, di un evento o di uno sviluppo storico sono del tutto fuori dalla portata dei poteri costituiti e della loro immaginazione politica, allora la finzione prende completamente il sopravvento. È quanto accade con tutte le misure e gli strumenti messi in campo per arginare, governare, dirottare la circolazione dei migranti diretti in Europa.

Ricorrentemente, soprattutto in prossimità delle scadenze elettorali, la demagogia dominante attiva, con un abusato gioco di sponda, la paura irrazionale dell’”invasione” e le ricette miracolose per contrastarla. L’accordo tra Roma e Tirana è un esempio da manuale di simili messe in scena, letteralmente un “colpo di teatro”, e in questo, solo in questo, può assumere il valore di modello.

Tali e tanti sono gli ostacoli giuridici, finanziari e operativi che incontrerà sulla sua strada da renderne risibili se non inesistenti i risultati. Per non parlare delle “trovate” che si arenano già in tribunale come l’allucinazione neo imperiale dell’asse Londra-Rwanda. E però il messaggio resta: “Stiamo facendo qualcosa per proteggere voi le vostre abitudini e i vostri privilegi di occidentali”. Nessuno intende privarsi di questa leva, logora, elementare, ma di sicura efficacia.

In gran parte d’Europa, e in Germania prima di tutto, l’idea di trasferire in paesi terzi tutto il rognoso pacchetto dell’accoglienza, delle procedure per l’asilo e dei respingimenti non è affatto disdegnata. Lo sforzo è tutto rivolto a come aggirare principi e regole che l’Unione stessa si è data per aver mano libera nella fittizia risoluzione demagogica di un fenomeno che soluzione non ha.

A questo scopo si rende necessaria una sostanziale falsificazione della realtà del mondo che passa soprattutto attraverso gli pseudoconcetti di “paese sicuro” e “migrazione legale”. Sulla seconda è presto detto: nessuna fuga si dà mai in maniera legale, trattandosi, almeno alla sua origine, di un’evasione. Quanto al paese (o porto) sicuro, di che cosa si tratta?Sicuro per chi? Da quando e fino a quando? E a quali condizioni e imposizioni? Con quale trasparenza?

Prendiamo due esempi, ancora una volta tedeschi. Il governo federale di Berlino ha voluto l’inclusione della Moldavia e della Georgia nel novero dei “paesi sicuri” verso i quali i migranti possono essere respinti. Le obiezioni non hanno tardato a venire. Per quanto concerne la Moldavia, chi si occupa della tutela dei Rom ha prontamente segnalato la pesante discriminazione degli zingari in quel paese, mentre la Georgia si distingue nel rendere gli orientamenti sessuali motivo di persecuzione, come ha segnalato una deputata dei Verdi, partito che, contro le proprie tradizioni, ha avallato la promozione dei due paesi. Gli esempi chiariscono in concreto che di paesi sicuri per tutti i loro cittadini ne esistono, se ne esistono, ben pochi. Che per molti e molte, per ragioni di genere, di appartenenza culturale o religiosa, di opposizione politica e sociale, di diritti negati, sussistono indubbie ragioni di fuga che per altri, integrati e maggioritari, non sussistono. I migranti, come le società da cui provengono, non sono masse omogenee.

Fino all’indecorosa revoca della protezione, imposta da Ankara per l’ingresso nella Nato, Svezia e Finlandia consideravano quegli stessi rifugiati curdi che la Turchia bollava come terroristi, perseguitati politici meritevoli di asilo. Mentre l’autocrazia turca di Erdogan godeva di una tale fiducia nell’essere rispettosa dei diritti umani da venire prescelta a Berlino come principale parcheggio a pagamento dei migranti in fuga dalle guerre medio orientali.

Ed ecco l’ennesima finzione: l’esistenza (o la possibilità) di efficaci accordi con alcuni paesi di transito dei flussi migratori verso l’Europa per fermare, trattenere o respingere i migranti in forme possibilmente non troppo barbariche. La realtà si è invece palesata nei campi di concentramento libici, nella caccia tunisina ai subsahariani, nelle ronde dei gendarmi marocchini intorno a Ceuta e Melilla. Sostanzialmente in una rete di loschi traffici, ricatti politici e schermaglie diplomatiche, il tutto aggravato dall’esiguità dei fondi resi disponibili per queste operazioni. La scomoda enclave italiana in Albania difficilmente varcherà i confini della rappresentazione per conseguire qualche risultato, ma in fondo il suo compito lo ha già svolto: rinverdire il mito dell’arte di arrangiarsi con pochi soldi e ancor meno idee. Il cancelliere Scholz ha apprezzato.