di Giusi Fasano
Corriere della Sera, 18 marzo 2023
L’ammiraglio Giuseppe Aulicino, classe 1964, è a capo del Reparto Piani e Operazioni della Guardia costiera. Dipende da lui tutto ciò che è operativo. Dopo il naufragio di Cutro del 26 febbraio e dopo la barca rovesciata (il 12 marzo) al largo delle coste libiche, parla per la prima volta. Per difendere i suoi uomini e per dire che “non abbiamo niente di cui rimproverarci”.
Due naufragi nel giro di pochi giorni, 86 morti nel primo, 30 nel secondo. Ammiraglio, c’è mai stata un’interferenza politica, un’indicazione sui vostri interventi?
“Non scherziamo. Il livello politico non ha mai dettato nemmeno una virgola ai nostri centri operativi. Assolutamente mai. Le sale operative prendono le decisioni sapendo che di ogni singola decisione si è poi responsabili penalmente, e tenendo presente sempre la cosa più importante, cioè che la salvezza delle vite umane ha la precedenza su ogni cosa. Rispondiamo alle norme, alle convenzioni internazionali, non a qualcuno”.
Sicuro che il clima politico non vi condiziona?
“Sarò più chiaro: non è mai successo che un ministro, Salvini o i precedenti, abbia chiamato per dire di fare o non fare qualcosa”.
Eppure siete finiti sotto attacco...
“Io ho quasi 40 anni di servizio, sono abituato a vedere sulla mia testa giochi politici, nel senso di strumentalizzazioni. So che possono attaccare noi per attaccare la politica. Ma forse stavolta siamo andati un po’ oltre. E, guardi, non lo dico per me. Lo dico per i ragazzi, per chi lavora ogni giorno in mare e sul territorio. Mi dispiace per loro che ci mettono l’anima, ogni giorno, per salvare persone in mezzo al mare e che poi vengono messi alla berlina, o chiamati “assassini”. Non so come la vede lei, io dico che parole così ingiuste fanno male”.
Cominciamo dal punto più critico: il fatto che la Guardia costiera, la notte di Cutro, non ha attivato un’operazione Sar, cioè di soccorso in mare. Il mare era grosso, la Finanza è andata a cercare la barca segnalata da Frontex ma è tornata indietro per le condizioni meteomarine. Perché non aprire una operazione di soccorso?
“Frontex aveva già fatto una prima valutazione, come sappiamo. Il suo report non segnalava una situazione critica. Si vedeva una sola persona a bordo, la barca navigava a 6 nodi con mare 4. I sensori termici dell’aereo ipotizzavano la possibile presenza di persone sottocoperta ma certezze non ce n’erano; non c’erano gli elementi per ritenere tutto questo un evento Sar”.
Le condizioni meteo non erano di per sé un elemento di pericolo possibile?
“Quando è stata avvistata la barca non navigava in difficoltà. E non c’erano le chiamate di richiesta d’aiuto a noi o a organizzazioni come Alarm Phone. Né hanno chiamato i parenti a terra di qualcuno dei migranti, come capita spesso. Ora sappiamo che gli scafisti avevano un sistema per inibire l’uso dei cellulari, mai finora utilizzato; in quelle ore non lo sapevamo. Le informazioni che avevamo e le considerazioni che abbiamo condiviso con la Guardia di finanza riguardavano - ripeto - non un caso Sar ma sicuramente un caso da investigare, tant’è che si è mossa la Guardia di Finanza, che è in grado di fare valutazioni ed eventualmente agire”.
Parliamo del secondo naufragio. Allarme di Alarm Phone l’11 marzo, la barca si rovescia il 12, dopo ore in balia delle onde. Le Ong dicono: “lasciati morire deliberatamente”.
“Stiamo parlando di acque Sar libiche, il barchino era a 100 miglia dalle coste della Libia, lontanissimo da noi. Le ricordo che un Paese è responsabile delle sue acque Sar. Quando abbiamo ricevuto la segnalazione da Alarm Phone abbiamo immediatamente mandato verso il barchino il mercantile più vicino. Che poi: domandiamoci anche perché i migranti chiamano Alarm Phone e non le nostre centrali operative...”.
Per quella barca vi ha chiamato anche Sea-Watch, dice che avete riattaccato...
“Sì, il famoso “ciao, ciao” del nostro operatore. Non abbiamo riattaccato, l’audio lo dimostra. Il “ciao ciao” era un saluto, non una scortesia. E poi ricordo che non siamo tenuti a dare informazioni a chi ci chiama. Sea-Watch ci stava chiedendo informazioni operative, eravamo impegnati a salvare vite in mare. Va immaginato anche il contesto di quella chiamata...”.
Torniamo alla barca in mezzo al Mediterraneo...
“Le operazioni all’inizio le ha condotte la Libia, responsabile Sar di quel tratto di mare. Noi eravamo troppo lontani per mandare una delle nostre Classe 300 (i mezzi di soccorso più adatti, ndr) che non avrebbero poi avuto autonomia sufficiente per operare e tornare indietro. Avevamo le nostre navi già impegnate in attività di soccorso. Quando la Libia ci ha chiesto aiuto abbiamo mandato verso il barchino le unità navali più vicine che, ricordo a tutti, sono obbligate a intervenire o commetterebbero omissione di soccorso”.
Lei ha parlato con i suoi uomini che la mattina della strage sono intervenuti a Cutro?
“Sì. Ho accompagnato il comandante generale, l’ammiraglio Nicola Carlone, a Crotone, dove ha voluto incontrare i suoi uomini all’indomani della tragedia. Erano giorni difficili. Volevamo che sentissero la vicinanza di tutti noi”.