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di Alessia Candito

La Repubblica, 20 febbraio 2023

Con il Mediterraneo svuotato di navi di soccorso, approfittando di una finestra di bel tempo in migliaia hanno raggiunto l’isola. I trasferimenti non reggono il ritmo degli arrivi e il centro di contrada Imbriacola è saturo. Finiti anche kit e vestiti. Aperta un’inchiesta sulla morte di una donna spedita in hotspot dopo l’arrivo sul molo Favaloro.

“Speriamo che il vento non salga ancora”. Quando già è sera sul molo Favaloro di Lampedusa, chi ha imparato a leggere in mare e elementi il volume degli arrivi e le probabili condizioni dei naufraghi è preoccupato.

Dopo giorni di bel tempo, il vento ha cominciato a soffiare capriccioso e se sull’isola questo vuol dire un brivido in più e una sciarpa per chi aspetta sul molo, per chi è in mare vuol dire rischio, vuol dire morte. Chi uno o più giorni fa ha lasciato le coste libiche o tunisine potrebbe essere stato sorpreso in mezzo al mare da un improvviso peggioramento delle condizioni meteo, che sulle precarie imbarcazioni - “unfit to sail”, non programmate per la navigazione, afferma l’Oim - su cui i trafficanti di uomini li piazzano- significa rischiare concretamente di perdere la vita.

Lo sanno i volontari che da giorni non lasciano il molo, i medici che si sono dimenticati dei turni e sognano di avere almeno il tempo per un pasto seduti a tavola. Non c’è tempo, non c’è margine.Quando la sera è appena scesa, le motovedette di Finanza, Capitaneria, persino di Frontex sono tutte in pattugliamento. Segno che nella notte o all’alba, quando tinozze e canotti su cui ci si imbarca diventano appena distinguibili sulla linea dell’orizzonte, ci saranno altri disperati da salvare, soccorrere, assistere. Con il Mediterraneo svuotato di navi di soccorso per chi fugge dalla sponda Sud Lampedusa è il primo porto sicuro. L’approdo necessario per chi parte su una tinozza spinta da un motore asmatico di qualche decina di cavalli. E non sono stati mai così tanti come negli ultimi giorni.

Alle diciotto di domenica, quando in 589 si mettono in fila per imbarcarsi sulla nave di Diciotti che ventiquattro ore dopo è attesa a Reggio Calabria, ne sono arrivati altrettanti, subito destinati all’hotspot di contrada Imbriacola. Stracolmo. Sono in 2.200 dice l’ultima stima. Ma sono numeri approssimativi, che cambiano ogni ora, al ritmo di arrivi e trasferimenti.

Nel giro di poco più di un giorno sono partite più di mille persone. Ma la struttura è piena, i cenciosi materassi che i naufraghi buttano a terra per avere qualche ora di tregua dopo la traversata non bastano più. Sono finiti i kit, i vestiti asciutti. Chi arriva con un po’ di cenci bagnati addosso deve solo sperare che il tempo sia clemente e si asciughino in fretta. C’è la parrocchia che dà una mano e mette a disposizione quello che ha e persino il poliambulatorio, che agli ustionati dà la tuta bianca che usano i sanitari. “Almeno è pulita e asciutta”, masticano amaro i sanitari.

Nel centro di contrada Imbriacola saturo di sopravvissuti al mare, è il caos. I bagni sono pochi, le docce non bastano neanche per un quarto degli ospiti, il cibo chissà. Donne, bambini, ragazzini che viaggiano da soli di contendono i pochi spazi disponibili. All’interno si sopravvive.

L’hotspot - una manciata di grigie palazzine lontane dal paese, circondate da una gabbia e monitorate dall’esercito lungo tutto il perimetro - è un girone infernale dove per tutto bisogna battagliare, persino per far sapere di stare male.

Una donna forse non ha fatto neanche in tempo a farlo. È sopravvissuta alla traversata, non stava bene ma è stata giudicata in condizioni sufficientemente buone da andare al centro di contrada Imbriacola. È morta lì per cause che un’inchiesta dovrà accertare.

È la terza vittima in pochi mesi. Una bambina prima, un trentenne poi - morti uno dopo l’altro nel centro - sono oggi diventati casi giudiziari su cui tocca alla procura di Agrigento indagare. E adesso c’è un nuovo fascicolo aperto sulla cooperativa Badia Grande che gestisce la struttura, già diventata di interesse investigativo per “gravi criticità e inadempienze” rispetto al capitolato d’appalto.

Di recente, indiscrezioni davano per vicinissimo un cambio di guardia. Finita sotto inchiesta o sotto processo in troppi tribunali per la mala gestio delle strutture che in tutta Italia le sono state affidate, Badia Grande da tempo è data pronta all’uscita dalla gestione del centro. Ma nel frattempo ci sono migliaia di persone costrette a combattere per sopravvivere dopo aver rischiato la propria vita su una tinozza in mezzo al mare. E neanche trasferimenti massicci bastano a garantire a chi resta condizioni di vita dignitose.