sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Rocco Vazzana

Il Dubbio, 28 settembre 2023

Intervista al sindaco Filippo Mannino: “In questi anni l’isola è stata utilizzata come la foglia di fico dietro la quale sia l’Italia che l’Europa hanno nascosto tutti i fallimenti delle politiche sull’immigrazione”. “In questi anni Lampedusa è stata utilizzata come la foglia di fico dietro la quale sia l’Italia che l’Europa hanno nascosto tutti i fallimenti delle politiche sull’immigrazione”. Il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, poco più di una settimana fa è volato fino a New York per esporre al vertice Onu sugli obiettivi di sviluppo sostenibile il caso unico della sua piccola isola dispersa nel cuore del Mediterraneo. E adesso ci siamo un po’ stancati.

Sindaco, dopo settimane di sbarchi intensi, ora, complice il meteo avverso, l’Hotspot di Lampedusa è vuoto. Cosa vi aspettate per i prossimi giorni?

Ci aspettiamo che riaccada ciò che accade da 30 anni. Ma un conto è gestire numeri relativamente contenuti, un altro è gestire numeri che negli ultimi mesi stanno diventando fuori controllo, come accaduto la scorsa settimana: in 36 ore sono arrivate più di 7 mila persone che si sono aggiunte alle 3 mila già ospitate sull’isola. Un conto è soccorrere una barca con 100 o 200 persone, un altro è riuscire a gestire la Storia da una piccola isola di 20 km quadrati.

Cosa dovrebbe fare il governo per sostenere da Lampedusa?

Da mesi chiediamo semplicemente al governo di farsi trovare impreparato.

Cosa significa?

Significa che bisogna provare a bypassare direttamente gli sbarchi sulla nostra isola, attraverso il soccorso in mare aperto con navi militari e civili predisposte ad hoc, come accadeva con l’operazione Mare Nostrum. Oppure bisogna disporre sul territorio di Lampedusa la presenza di navi che consentano trasferimenti veloci e continuativi di tutta queste persone. Abbiamo una difficoltà oggettiva a gestire servizi logistici e sanitari concepiti per una popolazione di 7 mila abitanti. L’isola non ce la fa materialmente.

Il governo però sembra essere più interessato a bloccare le partenze, che a redistribuire le persone in arrivo...

Il punto è che si è fermi. Non si fanno passi in avanti in nessuna direzione sulle politiche dell’emigrazione. Se un giorno riusciranno a bloccare le partenze, bene, ma nel momento in cui queste persone partono non si possono lasciar morire in mare.

Eppure la riforma del trattato di Dublino sembra essere calato il disinteresse generale...

La verità è che dell’Europa unita ci sono rimaste solo le stelline sulla bandiera, poi ognuno fa quello che vuole, si naviga a vista. Il risultato è che si resta inermi. Però ricordo che qualche mese fa abbiamo avuto fenomeni migratori importanti dall’Ucraina e non mi pare ci sia stata la stessa reazione. Anzi, l’Europa si è mossa compatta. Allora dobbiamo decidere se chi scappa è meritevole d’accoglienza solo in base al colore della pelle o no.

Di cosa ha parlato all’Onu?

Ho parlato della mobilità globale, di persone in fuga di cui bisogna occuparsi. Non c’è legge o norma che tenga davanti a gente che scappa da una guerra, da una persecuzione o dalla violenza. Si deve trovare una soluzione alternativa, in Europa come negli Stati Uniti. Ho raccontato l’esperienza di comunità piccole come la nostra che non possono essere lasciate da sole ad affrontare veri e propri drammi umanitari. Non è pensabile trasformare Lampedusa in Ellis Island, i territori vanno rispettati non possono essere trasformati in carceri a cielo aperto.

Qual è la soluzione per evitare questo scenario?

Canali di ingresso legali con partenze gestite dalle coste di imbarco. Ovviamente non può essere l’Italia a governare da sola questo processo, serve un coordinamento europeo, quantomeno di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e serve programmare i flussi per sapere in anticipo dove redistribuire queste persone.

Come reagiscono i lampedusani davanti all’emergenza?

Lampedusa ha bisogno di tranquillità. Noi facciamo accoglienza dal 1988, quando arrivò il primo barchino sull’isola, ma quando il lampedusano vede messa in pericolo la sua principale fonte di reddito, è il turismo, comincia a preoccuparsi e si arrabbia. Non con i migranti ma con la descrizione apocalittica che i mass media fanno del fenomeno. Gli sbarchi invece vengono gestiti in base a un protocollo rodato che rende inesistente la percezione del problema sull’isola.

L’immigrazione ha davvero limitato il turismo verso Lampedusa in questi anni?

Quando l’apertura di un telegiornale è “emergenza sanitaria a Lampedusa, caso di scabbia” passa il messaggio che un territorio è insicuro da un punto di vista sanitario. E il turista che voleva trascorrere le vacanze a Lampedusa ci pensa due volte prima di farlo e molto spesso decide di non venire. Quello è un danno per lo sviluppo dell’isola. Noi andiamo avanti grazie al passaparola, grazie alle persone che sono state qui e raccontano di un problema quasi impercettibile. Ma sono tutti italiani, per i turisti europei noi siamo solo l’isola dei migranti.

Due settimane fa questa paura si è trasformata in protesta quando si vociferava che a Lampedusa sarebbe stato costruito un Cpr. Lei stesso è sceso in piazza al fianco dei cittadini...

Perché, come dicevo prima a proposito dell’Hotspot, non abbiamo i servizi adeguati a ospitare questo tipo di strutture. E poi la storia ci insegna che se abbiamo un centro per 400 persone poi ne mettiamo 4 mila.