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ferraratoday.it, 13 novembre 2023

L’eventualità della costruzione di un Centro di permanenza per i rimpatri nella città estense continua a suscitare discussioni. Sulla questione, l’arcivescovo di Ferrara e Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes della Cei Gian Carlo Perego ha evidenziato che “i Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione del provvedimento di espulsione. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o respingimento - a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento - il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino”.

Monsignor Perego ha quindi aggiunto che “il trattenimento può durare fino a 180 giorni. Attualmente i Cpr in Italia sono 10 per una capienza complessiva di 1.378 posti”, evidenziando che “in tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità. Li ho visitati tutti: sono carceri, spesso a cielo aperto, gabbie senza le tutele delle carceri. Le persone non di rado incendiano tutto, si radicalizzano, si disperano, si autolesionano. Mediamente tre trattenuti su quattro vengono espulsi e uno è lasciato libero sul territorio nazionale, perché scaduti i termini di trattenimento”.

L’arcivescovo ha dunque rivolto alcuni interrogativi: “Perché un Cpr a Ferrara? Ferrara è la provincia con meno immigrati e con meno espulsioni di tutta la Regione Emilia-Romagna. Ferrara ha già un carcere, anche per reati di mafia. Ferrara soffre economicamente più di tutte le province dell’Emilia Romagna. Ferrara non ha un porto importante sull’Adriatico. E allora perché un Cpr a Ferrara? Forse una città più in sintonia con il governo delle migrazioni di Salvini e Piantedosi? Perché sviluppare l’idea di una ‘città carcere’, luogo di reclusione, più che di inclusione, luogo di rifiuto più che di accoglienza, luogo di negazione dei diritti più che di tutela dei diritti? Forse avremmo bisogno piuttosto di luoghi aggregativi per i giovani, di un Auditorium per ospitare eventi nazionali, di altri collegi universitari, magari d’eccellenza? Forse avremmo bisogno di più case per i migranti lavoratori e le loro famiglie e i rifugiati, di progetti Sai di integrazione, per andare incontro anche alla grande richiesta di lavoratori stagionali e permanenti sul piano agricolo, di camerieri per gli alberghi della città e dei Lidi, di operai e artigiani? Forse, di fronte alle guerre in atto, non dovremmo essere una città-asilo anche per rifugiati e richiedenti asilo? Più che una città carcere il futuro di Ferrara dovrebbe essere quello di una città aperta, inclusiva, che sappia accogliere, tutelare, promuovere e integrare chi viene da un’altra città italiana o Europea e da un altro Paese del mondo: la città voluta dal grande architetto e urbanista del Dopoguerra Michelucci e sognata da Papa Francesco, la sola città che ha un futuro”.

Un tema sul quale è tornato il sindaco Alan Fabbri. “Qualche giorno fa - ha ricordato il primo cittadino - il ministro Piantedosi ha comunicato alla Regione Emilia-Romagna che sulla zona dell’ex aeroporto militare della nostra città, un’area demaniale, che vedo immersa in un terreno privo di case che si estende per chilometri, esiste uno studio di fattibilità utile per valutare la possibilità di costruzione di un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr). In un secondo momento, informalmente, ricevevo dalla Regione la lettera, e ne davo comunicazione sulla stampa, con le mie prime impressioni”.

Sulla questione, Alan Fabbri ha evidenziato che “non è un centro di accoglienza come ho letto. Tutt’altro. È un luogo detentivo da cui non si può uscire liberamente, al cui interno entrano prioritariamente stranieri irregolari, considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica, condannati, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati, in attesa che vengano rimpatriati. Insomma un carcere, che serve a evitare la dispersione su tutto il territorio nazionale di questi soggetti, per lo più pericolosi, quando non è possibile eseguire immediatamente il rimpatrio. Sulla detenzione in struttura è bene ricordare che il recente Decreto Cutro, estende il limite di trattenimento dello straniero da 3 a 18 mesi. Forse è meglio in strada con la speranza che queste persone passino da una biblioteca, o facciano un corso di ricamo in cooperativa e si convertano improvvisamente alle buone maniere e al lavoro onesto? No, il mio e nostro approccio è molto diverso dal passato: meglio il carcere e che se ne tornino a casa”.

Il sindaco di Ferrara ha commentato, inoltre, le parole dell’arcivescovo “che parla già di ‘città carcere’. Secondo me è l’esatto contrario. Sono i cittadini a sentirsi in carcere quando questi soggetti invadono strade e parchi, tessono accordi con la criminalità locale instaurando un clima di paura in città, costringendo i residenti a non poter godere più dei propri spazi in tranquillità. Le guerre con machete e le rivolte sono ancora un ricordo vivo tra i ferraresi, frutto di un’accoglienza indiscriminata e del suo relativo business, che abbiamo sempre denunciato e gradualmente abbiamo smantellato. Basti pensare alla convenzione tra Asp e Prefettura sulla gestione dell’accoglienza, immediatamente stracciata al mio arrivo, che prevedeva un ingresso fino a 1500 persone. Il Comune, infatti, aveva in gestione oltre 1000 richiedenti asilo, fino a picchi come nel 2018 di 1222 persone a seguito degli sbarchi. Oggi, per fortuna, non è più così, e il vescovo nelle parole ai quotidiani fa bene a riportarlo, perché Ferrara, fino a quando ci sarò io, non sarà mai più complice di quel sistema”.

Fabbri ha aggiunto che “se mai questo studio di fattibilità dovesse portare alla costruzione di un centro per rimpatri, è chiaro che Ferrara sarà una città molto più attenzionata, con più forze dell’ordine, ma soprattutto ci consentirà prioritariamente di neutralizzare, con la reclusione, i nostri soggetti più pericolosi, senza dover attendere la chiamata di altri Cpr in giro per l’Italia. Per questi motivi, mentre riesco a comprendere le polemiche del Partito Democratico sul Cpr come luoghi non sufficientemente accoglienti, sicuramente diversi dagli hotel con piscina, dall’elargizione di buoni spesa e pocket money a cui avevano abituato queste persone, non riesco a comprenderlo quando ricordano le barricate. Le barricate erano fatte, d’intesa con i cittadini, per respingere migranti che da lì a breve sarebbero diventati vicini di casa, con tutti i problemi annessi e connessi. Non chiusi in un carcere a chilometri dalle zone urbanizzate”.

Il primo cittadino ha sottolineato “che è bello parlare di accoglienza, di umanità, di diritti, come il nostro vescovo, ma solo fino a quando queste persone restano lontane dal proprio percorso quotidiano. Infatti in Curia non so quanta di questa gente ci vive o ci abbia vissuto con tutte le crisi umanitarie che abbiamo visto in questi anni. Gli consiglio di fare meno lettere ai giornali e di impiegare quel tempo a spalancare le porte, quelle di casa sua, non solo a Cristo ma anche a queste persone e poi ne potremo riparlare. Ferrara, come sappiamo tutti, ha vissuto anni difficili con i migranti, con un sistema di accoglienza che ha fatto acqua da tutte le parti, con persone abbandonate a se stesse, nel cuore della città, creando gang criminali ben organizzate fino alla costituzione del quartier generale della mafia nigeriana in Italia. Strascichi che subiamo ancora oggi nonostante il potenziamento della sicurezza”, concludendo che “al momento comunque non abbiamo altre notizie e in ogni caso il Ministro Piantedosi ci ha garantito che nel caso si dovesse procedere in questa direzione, sarà presente per rassicurare i cittadini ed affrontare insieme ogni possibile problema”.

Un argomento che ha intercettato l’intervento anche di Anna Zonari, portavoce di Mediterranea Saving Humans Ferrara. La portavoce dell’associazione ha evidenziato che “i Centri di permanenza per i rimpatri sono dei centri in cui le persone sono detenute per motivi amministrativi. In questi Centri finiscono non persone che hanno commesso furti, rapine o aggressioni, come lascia intendere il sindaco e i timori di alcuni cittadini particolarmente allarmati, ma quelli che si trovano in Italia senza un regolare permesso di soggiorno, e che per questo devono essere allontanati dal territorio nazionale. I Cpr sono, tecnicamente, luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione”.

La portavoce di Mediterranea Saving Humans Ferrara ha aggiunto che “i Cpr, quindi, sono luoghi di detenzione a tutti gli effetti, in cui però sono rinchiuse persone che non hanno commesso alcun reato penale. Questi centri di detenzione, però, sono esterni al normale circuito penitenziario e non sono sottoposti ai controlli che l’autorità giudiziaria esercita normalmente nelle carceri. La loro gestione è affidata interamente alla polizia e al Ministero dell’Interno. I tempi di durata massima della detenzione sono diventati sempre più lunghi: nel 1998 erano di 30 giorni, nel 2023 sono diventati di 18 mesi, con i relativi costi esorbitanti. A questo però non è corrisposto un tasso crescente di rimpatri, anzi: i rimpatri continuano a diminuire, dal 60% del 2014 si è passati al 49% del 2021”.