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di Luca Bottura

La Stampa, 13 gennaio 2024

Prima o poi doveva succedere: a furia di non separare i fatti dalle opinioni, abbiamo separato i fatti dai fatti. Non da ieri, ovviamente. Ma la surreale arringa difensiva di Matteo Salvini al processo Open Arms parrebbe marcare un punto di non ritorno. Se solo quel punto non fosse alle nostre spalle da tempo. Dire, come ha detto, che nel “suo” governo (suo?) i morti in mare diminuirono, può significare tre cose. La prima è processualmente nefasta: se era suo, Conte, Toninelli e Di Maio allora non c’entrano. La seconda è che questo governo è evidentemente altrui, di qui Cutro e altre stragi, accadute mentre Piantedosi spediva le navi di soccorso il più lontano possibile da gente che affoga.

La terza, la più vera, che pure le raccoglie tutte, è che davvero vale tutto. E vale tutto perché Salvini utilizza la stessa tecnica ovunque si trovi: tv, aula di tribunale, parlamento (dove va meno). E la tecnica è sparare una salva di enormità che chi di potere, nel far west passivo-aggressivo della nostra informazione, trasformerà in materiale opinabile, rivedibile, interpretabile. Urlando. In prima serata. Col conduttore che fa pappa e ciccia e ti dà del tu. Siamo oltre Donald Trump, che diceva di poter sparare a Manhattan senza conseguenze elettorali. Siamo alla pistola carica dei decreti Salvini che esplode i suoi “colpi”, con esiti concreti, tanto qualcuno (oltre a lui) racconterà che le centinaia di morti non sono mai esistite, il botto non c’è stato. Tra l’altro è più o meno la linea difensiva del Fratello d’Italia col pistolino piccino picciò.

Ora: chiunque sia incappato nella Giustizia sa bene che l’imputato ha il diritto di mentire. A volte gli conviene pure, perché dire la verità è noioso e quasi le favorisce, certe condanne. Il problema è quando non se ne sa più uscire: l’altra sera (naturalmente) su Rete 4, era ospite il ministro delle Infrastrutture e dei talkshow. Tra le altre cose, dopo aver risposto sui saluti romani rivendicando la legge sui maltrattamenti agli animali, e aver tuonato contro i processi tv, aggiungendo però - in tv - che il suo processo è un attacco politico privo di fondamento, ha parlato del suocero Denis Verdini. Ha invitato il pubblico a non credere ai giornali - come Grillo: i populisti si somigliano - perché ne fu avversario politico ma, da quando lo conosce, sa che si tratta di una brava persona. Due dettagli. Il primo: Verdini e Salvini erano alleati. Il secondo: l’uomo che sussurrava ai banchieri e ai politici, molto trasversalmente, è una brava persona condannata in via definitiva a 11 anni per magheggi nell’ambito bancario e (attenzione) editoriale.

Solo che il nostro inarrestabile analfabetismo di cittadinanza, ha tolto ossigeno anche all’espressione “sentenza passata in giudicato”. Meglio: vale solo per gli amici, e se è favorevole. Altrimenti si accede alla versione dopata del (sacrosanto) garantismo. Al quarto grado di giudizio: il casinismo. Roba seria e funzionale: ci si vincono le elezioni. Giorgia Meloni, secondo il sito di fact checking “Pagella politica”, nel solo 2023 ha mentito quasi quattro volte su dieci ed è stata imprecisa anche gravemente altre tre volte su dieci. Una modalità che confina con l’abuso della credulità popolare ed è forse più insidiosa di mille riforme istituzionali. O, forse, la sua premessa. Il sottosegretario Mollicone, già artefice di battaglie decisive come quella contro Peppa Pig, l’uomo secondo cui le coppie omosessuali sono illegali e la pedofilia va preferita alla maternità surrogata, sta lavorando in questi giorni a un organismo governativo che dovrebbe vigilare sulle fake news. Faccio mie le parole di un commentatore su X: “Per una volta, nessuno potrà accusare il governo di legiferare su qualcosa che non conosce”. Cosa potrà mai andar storto?