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di Rinaldo Frignani

Corriere della Sera, 1 ottobre 2023

La linea dopo che il Tribunale di Catania ha dichiarato illegittimo il decreto del governo: “Casi singoli con motivazioni dubbie, non farà giurisprudenza”. Ma c’è chi rivede lo spettro dei decreti Sicurezza di Salvini “smontati” dalla Consulta.

Il ricorso è già pronto, ma al Viminale assicurano di essere tranquilli: “Questa decisione non fa giurisprudenza, vedremo nei prossimi giorni che cosa accadrà, noi abbiamo già proposto appello”. In realtà lo spettro di quanto accadde con i decreti Sicurezza firmati da Matteo Salvini che furono “smontati” dalla Corte Costituzionale su richiesta di alcuni giudici, comincia ad aleggiare. Perché è vero che la decisione di sabato riguarda un caso specifico ed è soltanto in primo grado. Ma è vero anche che alcune norme appena varate dal governo sono state criticate da numerosi giuristi. Il rilascio ordinato dal tribunale di Catania di Mekri Aymen, tunisino di 37 anni, giunto il 20 settembre scorso a Lampedusa, potrebbe infatti aprire la strada a migliaia di ricorsi.

Lui è pregiudicato per furto in Italia, già espulso, poi rientrato nel nostro Paese su un barcone “che rischiava di affondare”, come ha raccontato. Nella video udienza nel nuovo centro di trattenimento a Pozzallo (ne stanno per aprire almeno altri quattro) per richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri, il 37enne, che dalla sua scheda personale risulta in buone condizioni di salute, ha riferito di aver deciso di emigrare perché in Tunisia le cure sono a pagamento. Motivazione considerata valida ma che il Viminale non ritiene invece fondata. La giudice catanese Iolanda Apostolico ha deciso anche il rilascio di altri due connazionali di Aymen, Miaad Hafed e Amin Drebali, 31 e 23 anni. Anche loro migranti irregolari, sbarcati a Lampedusa a fine settembre e condotti a Pozzallo in attesa che fosse definita la loro posizione, hanno invece riferito di essere stati costretti a lasciare il loro Paese perché minacciati di morte. Per tutti e tre, senza documenti, il Viminale ha disposto le procedure accelerate previste per chi proviene da Paesi inseriti nella lista degli Stati considerati sicuri e contenute dalla direttiva Ue del 2013, al centro anche del nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo che sta per essere firmato a Bruxelles. In Italia il provvedimento europeo è disciplinato invece dal decreto Cutro e ribadito anche nell’ultimo decreto legge del 14 settembre scorso. Lo stesso che prevede il pagamento della cauzione da quasi 5mila euro - anch’essa norma europea - da chiedere agli stranieri irregolari che vogliono evitare il trasferimento ai Cpr.

Ecco perché l’impugnazione da parte del responsabile del Viminale della decisione dei giudici catanesi potrebbe essere allargata agli altri due casi. E perché - nelle intenzioni del governo - quel ricorso deve diventare un precedente, proprio per evitare un annullamento delle nuove norme che metterebbe in crisi l’intero sistema di gestione dell’immigrazione appena varato dall’Italia. Così come per Aymen, per quanto riguarda il parere negativo espresso dalla giudice Apostolico su Hafed e Drebali, anche loro già espulsi e poi ritornati e adesso rilasciati dal centro di Pozzallo, emergono perplessità sulle motivazioni fornite dai due tunisini per spiegare il perché della loro fuga verso l’Italia.

Il primo ha infatti richiesto protezione internazionale in quanto costretto a “fuggire perché perseguitato per caratteristiche fisiche che i cercatori d’oro del suo Paese, secondo credenze locali, ritengono favorevoli delle loro attività (particolari linee della mano)”. Mentre il 23enne ha parlato di “dissidi con i familiari della sua ragazza i quali volevano ucciderlo ritenendolo responsabile del decesso di quest’ultima” annegata a luglio, secondo la versione del tunisino, dopo il ribaltamento dell’imbarcazione sulla quale si trovavano per arrivare con altre decine di profughi sempre in Italia.