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di Federica Rossi

Il Manifesto, 22 novembre 2023

“L’Italia chiede a paesi come Tunisia, Libia e adesso anche Albania di cooperare nella gestione delle sue frontiere, sostenendo strumentalmente di non potercela fare da sola. Ma l’accordo con Tirana è contrario al diritto internazionale”, afferma Filippo Miraglia, di Arci immigrazione. L’occasione è una conferenza stampa sulla recente intesa tra la premier Giorgia Meloni e il suo omologo d’oltre Adriatico Edi Rama che il Tavolo immigrazione e asilo, rete delle principali organizzazioni italiane che si occupano di immigrazione, ha tenuto ieri nel centro di Roma.

“L’accordo è in contrasto con la direttiva 32 del 2013. La norma Ue stabilisce che l’esame deve essere effettuato all’interno del territorio dello Stato membro”, spiega Riccardo Noury. Il portavoce di Amnesty International sottolinea come nell’accordo non compaia la menzione esplicita di esclusione dei minori e vulnerabili dal trattenimento in Albania: “questo potrebbe porre le basi per l’attuazione di pratiche di sbarchi selettivi che già in passato sono state considerate illegittime”, afferma.

Per quanto riguarda gli aspetti collegati ai salvataggi nel Mediterraneo Giorgia Linardi, di Sea Watch, dice: “Le persone soccorse in mare devono essere sbarcate in un porto vicino e l’Albania non si può considerare tale”. Mentre Flaminia Delle Cese, avvocata di International Rescue Committee Italy, concentra le sue critiche sulla privazione della libertà personale dei richiedenti asilo: prima della detenzione vanno valutate tutte le misure alternative e ogni caso deve essere processato individualmente. L’accordo, infatti, fa riferimento alla “permanenza” dei migranti nelle due strutture albanesi, ma de facto si tratta di una forma di detenzione. Non è ancora stato chiarito se per un massimo di quattro settimane, come prevedono le procedure accelerate di frontiera, o 18 mesi, come previsto nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr).

Un altro capitolo ricco di problemi è quello economico: per ora di certo c’è solo il terreno dove sarà realizzata la struttura, messo a disposizione dal governo albanese, e il fatto che il personale sarà italiano, dunque verosimilmente retribuito come fosse in trasferta. “La spesa di questo piano è dieci volte più alta rispetto ai finanziamenti ordinari ma effettivi che si potrebbero fare alle prefetture o ai comuni”, spiega Cristina Molfetta di Fondazione Migrantes.

Anche per questo le diverse associazioni chiedono di impegnare quelle risorse per una maggiore pianificazione del soccorso in mare e dell’accoglienza di chi arriva in Italia. Anche perché, sostengono, i numeri degli sbarchi non sono tali da giustificare un’emergenza e quelli dei centri in Albania non saranno comunque risolutivi (151mila le persone arrivate via mare nel 2023; 3mila quelle che, al massimo, potranno essere mandate contemporaneamente al di là dell’Adriatico).

“A guadagnarci sarà solo l’Albania”, taglia corto il deputato Pd Matteo Mauri, presente alla conferenza stampa con i colleghi di partito Giuseppe Provenzano e Graziano Delrio. Ad affacciarsi, un po’ a sorpresa, anche la segretaria dem Elly Schlein, di ritorno dal parlamento con la notizia che il protocollo dovrà passare dalle camere: “L’accordo viola la Carta, la quale afferma che lo straniero ha diritto di chiedere l’asilo sul territorio della Repubblica”.