di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 14 novembre 2019
Corte di cassazione, Sezioni unite civili, sentenza 13 novembre 2019, n. 29459. Non ha applicazione retroattiva la stretta del decreto Salvini sui permessi per ragioni umanitarie. Non scatta cioè per le domande introdotte prima del 5 ottobre 2018. E tuttavia, se la richiesta deve essere esaminata secondo le vecchie regole, una volta che sia accolta conduce al rilascio del più rigido permesso di soggiorno per casi speciali introdotto dal decreto stesso, il 113/18. Inoltre, la protezione umanitaria, oggi cancellata, non può essere riconosciuta solo sulla base di una valorizzazione dell'integrazione in Italia per effetto del posto di lavoro ottenuto. Sono queste le conclusioni cui approdano le Sezioni unite civili con la sentenza n. 29459 depositata ieri che ha affrontato un caso non previsto dalla (scarna) disciplina transitoria del Dl e cioè quello per cui la commissione territoriale ha negato il permesso poi invece riconosciuto dal giudice prima del 5 ottobre dell'anno scorso.
Le Sezioni unite ricostruiscono i tratti della vecchia disciplina, imperniata sul permesso di soggiorno per ragioni umanitarie della durata di 2 anni, rinnovabile e convertibile nel permesso per motivi di lavoro e in quello per motivi familiari, e della nuova che ha invece introdotto una forma di protezione speciale della durata di un anno, rinnovabile, ma non convertibile.
La sentenza chiarisce che, malgrado il diritto di asilo nasca quando il richiedente fa ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità che mettono in pericolo l'esercizio di diritti fondamentali, è la presentazione della domanda che cristalizza la normativa da applicare. Con la domanda il titolare del diritto esprime il suo bisogno di tutela ed è quindi il momento della sua presentazione a individuare il complesso delle regole applicabili.
Tuttavia, una volta riconosciuta l'esistenza dei vecchi requisiti, il permesso sarà quello nuovo e più breve e non convertibile. Non c'è contraddizione in questo ragionamento, sottolinea la sentenza, visto che "la permanente rilevanza della protezione umanitaria o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano discende dalla irretroattività della novella, che l'ha espunta dall'ordinamento; il concreto atteggiarsi del permesso che pur sempre risponde a quella protezione, è dettato dall'interpretazione conforme a Costituzione, che valorizza la volontà del legislatore".
Infine, le Sezioni unite puntualizzano che il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può essere concesso con esclusivo riferimento all'integrazione in Italia (nel caso attraverso il posto di lavoro) e neppure sarebbe stato possibile sulla base di una generica considerazione del contesto dei diritti umani nel Paese di origine. Serve, invece, una valutazione comparativa della posizione soggettiva del richiedente con riferimento al proprio Paese a confronto con la situazione di integrazione raggiunta in Italia. "Sui permessi umanitari aveva ragione la Lega - ha affermato il leader del Carroccio Matteo Salvini commentando la sentenza. È la migliore risposta agli ultrà dei porti aperti e che vorrebbero cancellare i decreti sicurezza".