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di Claudio Tito

La Repubblica, 11 febbraio 2023

La premier è riuscita a mediare con l’Olanda e ha detto sì alla costruzione dei muri in cambio di risposte europee: mancano però tempi certi e fondi. “Sulle migrazioni siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti al vertice. La giornata di ieri stabilisce un principio: si cambia approccio”. Giorgia Meloni ieri cantava vittoria. In particolare per come il Consiglio europeo aveva affrontato la questione migratoria. E puntava l’accento su due aspetti: il riconoscimento che l’emergenza è “un problema europeo e richiede una risposta europea” e la “specificità” delle frontiere marittime. Ossia le nostre. Ma è davvero un cambio di approccio? Al di là delle conseguenze pratiche di queste due affermazioni contenute nel documento finale del vertice, non sembra che sia davvero una “rivoluzione” e nemmeno un “cambio di approccio”.

Marzo 2016, riunione del Consiglio europeo. Capo del governo italiano, Matteo Renzi. Documento finale: “Si conferma la propria strategia globale intesa ad affrontare la crisi migratoria. Diversi elementi della nostra risposta europea comune sono ormai istituiti e stanno dando i loro frutti”. E ancora: “La ripresa del controllo delle nostre frontiere esterne continuerà a costituire una priorità”. Quindi la “risposta europea” era già contemplata.

Dicembre 2016, riunione del Consiglio europeo. Capo del governo italiano, Paolo Gentiloni. Documento finale: “Si ribadisce inoltre l’esigenza di rimanere vigili riguardo ad altre rotte, anche nel Mediterraneo occidentale, in modo da essere in grado di reagire rapidamente in caso di evoluzioni della situazione”. Quindi il Mediterraneo occidentale, la parte di mare che ci riguarda, era già specificatamente menzionata.

Giugno 2018, riunione del Consiglio europeo. Capo del governo italiano, Giuseppe Conte. Documento finale: “È una sfida, non solo per il singolo Stato membro, ma per l’Europa tutta”. E ancora: “L’Ue resterà al fianco dell’Italia e degli altri Stati membri in prima linea a tale riguardo”. Anche in questo caso quindi la “risposta europea” era già contemplata. Nessun “cambio di approccio”.

Ma al di là del sovradimensionamento dei risultati raggiunti ieri su questo terreno, anche in questo caso tutto è stato rinviato almeno al prossimo mese. Giorgia Meloni è riuscita a mediare con un interlocutore ostico come l’olandese Rutte, ma il prodotto finale resta impalpabile. Pur di ottenere una qualche forma di apertura, l’Italia ha dato il via libera alla costruzione di eventuali muri a tutela delle frontiere terrestri. Richiesta pervenuta in particolare dai leader Conservatori alleati della premier italiana. In cambio di cosa? La conferma che le risposte saranno europee. E di una “specificità” marittima. Ma questa sottolineatura non è stata accompagnata da nessuno strumento concreto che renda “specifico” l’intervento volto a bloccare la migrazione clandestina.

La presidente del Consiglio ha insistito durante la conferenza stampa sulla necessità di sostenere i Paesi rivieraschi da cui partono i barconi che si dirigono verso la Sicilia. In particolare ha rimarcato l’urgenza di aiutare gli Stati africani, anche quelli subsahariani. Provvedimenti già evocati in passato ripetutamente.

In questo caso, però, manca comunque la decisione. Non esistono fondi o stanziamenti nuovi in grado di affrontare questo tema. Il cosiddetto “modello Turchia” che ha comportato un costo per l’Ue di 6 miliardi di euro non sembra neanche una prospettiva. Palazzo Chigi aveva programmato uno scambio con la costruzione dei muri. Ma manca la merce barattata. Né soldi per aiutare i territori di partenza, né operazioni comunitarie come la vecchia “Sophia”. Né tantomeno il sogno della destra italiana: il blocco navale. Senza contare che la stessa Meloni ha ammesso che il percorso della redistribuzione dei migranti non esiste. Per soluzioni concrete, insomma, bisognerà ancora aspettare.