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di Marco Bresolin

La Stampa, 11 febbraio 2023

L’Italia accetta di riprendere i rifugiati fuggiti a Nord in cambio di un vago accenno alle navi delle Ong. “Io ho bisogno del tuo sostegno per far inserire nelle conclusioni un riferimento alla necessità di regolamentare l’attività di ricerca e salvataggio delle Ong”. “Ok, io però voglio che l’Italia dia il via libera a un passaggio che chiede di rispettare le regole di Dublino sulla registrazione dei migranti e sul loro ritorno nei Paesi di primo ingresso”.

Durante il Consiglio europeo di giovedì, Giorgia Meloni e Mark Rutte si sono chiusi in una stanza per una trattativa serrata in formato bilaterale. La premier italiana e quello olandese ne sono usciti dopo 45 minuti con un accordo frutto dello scambio di cui sopra e che poi è stato sottoposto agli altri leader. L’intesa ha permesso di sbloccare l’impasse che si era creata al tavolo del Consiglio europeo sul capitolo immigrazione. Un risultato che ha consentito a entrambi i leader di cantare vittoria per aver portato a casa ciò che volevano. L’Olanda a costo praticamente zero, l’Italia al prezzo di una stretta sui controlli per prevenire i movimenti secondari dei migranti che fuggono verso il Nord Europa.

Il passaggio frutto del “do ut des” è stato aggiunto al punto 27 delle conclusioni e recita così: “Il Consiglio europeo prende atto dell’intenzione della presidenza di discutere, in occasione della prossima sessione del Consiglio “Giustizia e Affari interni”, dell’attuazione della tabella di marcia di Dublino, nonché dell’impegno effettivo dell’Ue alle frontiere esterne, anche per quanto riguarda le operazioni di entità private”. Per Giorgia Meloni quest’ultimissima parte (“anche per quanto riguarda le operazioni di entità private”) rappresenta la breccia attraverso la quale cercare di convincere i partner Ue ad adottare un codice di condotta per le navi umanitarie delle Ong che fanno attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. L’Italia avrebbe voluto una formulazione più esplicita, ma il testo inizialmente concordato con Rutte è stato poi emendato durante l’esame degli altri leader.

L’intesa è stata esaminata con attenzione da diversi capi di Stato e di governo, soprattutto da Emmanuel Macron, dal belga Alexander De Croo, dall’austriaco Karl Nehammer e da Olaf Scholz. Il tedesco ha apprezzato il passaggio sulla tabella di marcia di Dublino - che di fatto imporrà ai Paesi come l’Italia di registrare tutti i migranti e di riprendersi i cosiddetti “dublinanti” - perché anche la Germania ha il problema dei movimenti secondari, ma ha cercato di annacquare il più possibile il passaggio sulle “operazioni di entità private”.

Il governo di Berlino si oppone fermamente alla regolamentazione dell’attività delle Ong e anche il premier lussemburghese Xavier Bettel è intervenuto durante la plenaria per dire a Meloni che bisogna stare attenti a non violare il diritto internazionale e i valori europei. E infatti nelle conclusioni - laddove si riconosce “la specificità delle frontiere marittime”, come richiesto dall’Italia - i leader hanno voluto mettere nero su bianco l’importanza della “salvaguardia delle vite umane”, dunque delle operazioni di salvataggio.

Il muro di Orban - Al summit ha tenuto banco il tema del finanziamento con i fondi del bilancio Ue delle barriere ai confini, richiesta in particolare da Austria, Grecia, Polonia, Bulgaria e Ungheria. Viktor Orban ha detto di aver bisogno di soldi perché la barriera che protegge la frontiera ungherese non è abbastanza alta e vorrebbe portarla a 5 metri. La formulazione nel testo delle conclusioni è volutamente generica, ma fa un passo in quella direzione: il Consiglio “chiede alla Commissione di mobilitare immediatamente ingenti fondi e mezzi dell’Ue per sostenere gli Stati membri nel rafforzamento delle capacità e delle infrastrutture di protezione delle frontiere”.

La patata bollente passa dunque nelle mani di Ursula von der Leyen che deve fare i conti con le posizioni divergenti dei due principali partiti politici che sostengono la sua maggioranza al Parlamento europeo: i popolari sono nettamente favorevoli, mentre i socialisti si oppongono.

Gli aiuti di Stato - Rutte e Meloni - che all’inizio della settimana si erano sentiti al telefono proprio per avviare questa cooperazione - hanno discusso anche di come affrontare il capitolo relativo agli aiuti di Stato. L’allentamento delle regole che favorisce Francia e Germania non piace a Italia e Paesi Bassi, ma per ragioni opposte. Meloni è scettica perché teme l’accentuarsi delle disparità all’interno dell’Ue tra chi ha maggiori margini di bilancio e chi invece ha una possibilità di spesa più limitata. Rutte è invece convinto che sia sbagliato “drogare” l’industria europea con i sussidi pubblici. Per questo hanno spinto per chiedere alla Commissione l’impegno a monitorare la situazione con report periodici da trasmettere al Consiglio, al fine di evitare una frammentazione del mercato interno.

Ma le due posizioni sono destinate a dividersi presto, visto che l’Italia non si accontenta della flessibilità ottenuta sui fondi del Pnrr. Il governo è pronto - a partire dal Consiglio europeo di marzo - a dare battaglia per chiedere nuovi finanziamenti comuni. Una posizione che Rutte non soltanto non sostiene, ma che cercherà di osteggiare a tutti i costi perché ritiene che non sia necessario fare ricorso a ulteriori fondi. Su questo la sua posizione è destinata a riallinearsi con la Germania, che resta contraria all’emissione di nuovo debito comune.