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di Giansandro Merli

Il Manifesto, 17 febbraio 2023

Mediterraneo. Per la conversione in legge del “decreto Piantedosi” manca il passaggio al Senato. L’Alto commissario delle Nazioni Unite Türk accusa: “punirebbe sia i migranti che chi cerca di aiutarli”. Intanto il procuratore di Trieste punta il dito contro il reato di clandestinità: “una zavorra per gli uffici giudiziari”.

Il decreto contro i soccorsi in mare che il parlamento si appresta a convertire in legge, manca solo il passaggio al Senato, piace solo alle destre. Dopo le bocciature di Consiglio d’Europa, commissione Libe dell’europarlamento, organizzazioni umanitarie e mondo cattolico anche l’Onu chiede al governo italiano di ritirare il provvedimento. Ieri l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk ha dichiarato: “È semplicemente il modo sbagliato per affrontare la questione”.

Secondo Türk la stretta rischia di moltiplicare le vittime delle traversate del Mediterraneo, costringere chi ha subito torture e violenze a ulteriori ritardi nell’accesso alle cure e aumentare i respingimenti in Libia. Paese che, ribadisce, “non può essere considerato un porto sicuro di sbarco”. L’efficientamento del meccanismo di cattura dei migranti da parte della sedicente “guardia costiera” libica è peraltro sostenuto dal governo italiano, anche attraverso fondi europei, su più livelli. Solto dieci giorni fa il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha consegnato alle autorità di Tripoli la prima di cinque nuove motovedette.

“La legge punirebbe sia i migranti che chi cerca di aiutarli - accusa l’Alto commissario - e potrebbe trasformarsi in un deterrente per il lavoro cruciale delle organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti umani”. Intanto, nonostante la prassi di assegnare porti lontanissimi dopo il primo soccorso che il Viminale ha adottato a fine dicembre, le Ong continuano a salvare vite. Due i soccorsi realizzati dalla Life Support di Emergency nelle acque internazionali davanti alla Libia tra martedì notte e mercoledì mattina. A bordo ci sono ora 156 naufraghi provenienti da Bangladesh, Pakistan, Sudan, Eritrea, Egitto, Gambia, Chad, Camerun, Senegal, Mali, Nigeria, Costa d’Avorio e Guinea Konakri. 32 i minori. L’Ong fondata da Gino Strada denuncia di aver subito intimidazioni da un mezzo delle forze di sicurezza libiche. “Ha fatto manovre molto pericolose vicino al nostro scafo rifiutando di identificarsi”, denuncia il capomissione Emanuele Nannini.

Altre 31 persone sono state soccorse dalla Aita Mari nelle acque tra Tunisia e Lampedusa. Sono originarie di Costa d’Avorio, Senegal e Guinea Conakry. 11 le donne, di cui tre incinte, e dieci i bambini, oltre a un bebè di soli tre mesi. A entrambe le navi è stato assegnato il porto di Civitavecchia, lontano centinaia di chilometri. Dovrebbero raggiungerlo tra sabato e domenica. La Geo Barents e la Ocean Viking, con 49 e 84 naufraghi sui ponti, si stanno invece dirigendo ad Ancona. Così tutte le navi umanitarie sono state allontanate dall’area dei soccorsi.

Sulle norme di contrasto dell’immigrazione arrivano dichiarazioni pesanti anche dal fronte orientale. Il procuratore capo di Trieste Antonio De Nicolo ha affermato che il reato di clandestinità “è una zavorra che complica la vita degli uffici giudiziari, non produce nulla per lo Stato, se non delle spese, e rende più difficile l’accertamento dei reati veri”. La fattispecie penale è stata ideata nel 2009 dagli allora ministri dell’Interno Roberto Maroni e della Giustizia Angelino Alfano e introdotta a completamento di uno dei tanti “pacchetti sicurezza” votati dalle destre nel corso degli anni. Prevede una pena pecuniaria tra 5 e 10mila euro. Soldi di fatto inesigibili da persone che a causa della condizione di irregolarità non possono neanche aprire un conto in banca. “Questo reato non ha senso e va cancellato - commenta Gianfranco Schiavone, componente dell’Asgi - Non ha prodotto alcun impatto sulla gestione delle migrazioni. I destinatari, nella maggior parte dei casi, sono persone che arrivano in Italia per fare domanda di asilo”.