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di Francesco Grignetti

La Stampa, 19 dicembre 2023

Meloni, Sunak e Rama non sono i primi a cercare una soluzione esterna al problema: al tentativo del 2018 si associò Conte. L’intesa tra Giorgia Meloni, Edi Rama e Rishi Sunak ha in filigrana un obiettivo comune: spedire i migranti il più lontano possibile, a qualunque prezzo, e addio agli scrupoli umanitari. Se questo è il fine, il terzetto di palazzo Chigi è in nutrita compagnia. Già perché la pazza idea di liberarsi di un “fardello” che ha costi politici notevoli, specie per i governi di destra, viene da lontano e attrae molti Paesi europei.

Era il 2018 quando Emmanuel Macron propose di creare degli “hotspot” in Africa. L’ipotesi del Presidente francese era ancora potabile: creare in Ciad, Niger, Tunisia ed Egitto centri della Ue da far gestire alle Agenzie dell’Onu in collaborazione con quelle europee dell’Asilo, dove i migranti avrebbero potuto presentare una domanda e lì attendere l’esito.

In fondo, l’idea di esternalizzare la “grana” c’era già. Qualcuno si spinse a ipotizzare i centri persino in Libia, ma la cosa subito si rivelò una chimera. Il progetto prevedeva che se poi al richiedente asilo fosse andata male, sempre la Ue, in collaborazione con l’Oim, avrebbe previsto dei voli di rimpatrio volontario dai quattro Paesi africani per la nazione di origine del migrante. A questa proposta si associarono Giuseppe Conte per l’Italia e Angela Merkel per la Germania e divenne una proposta della Commissione. Tutto si arenò, però, perché alla Cancelliera, che pure aveva in dote un ricco assegno, sbatterono la porta in faccia sia la Tunisia, sia l’Egitto.

A seguire, fu il gruppo di Visegrad - Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca - a riprendere l’idea, ma in forma più arcigna: i centri si sarebbero dovuti trasformare in luoghi di detenzione e rimpatrio perché, si sa, i quattro di Visegrad non vogliono stranieri in nessuna forma. L’idea piacque molto a Danimarca e Austria che ne hanno fatto oggetto di una proposta ufficiale a Bruxelles. Il sogno proibito dell’allora cancelliere austriaco Sebastian Kurz e del danese Lars Lokke Rasmussen era un campo pilota da realizzare in Kosovo o in qualche altro Paese balcanico. Si associarono il Belgio con il nazionalista fiammingo Theo Francken, il Gruppo di Visegrad, la Slovenia e la Bulgaria.

Sebbene pure quella ipotesi sia abortita, qualcosa di sinistro ne è rimasto. La Danimarca ha raggiunto un accordo con il Kosovo per fargli “ospitare” a pagamento 300 detenuti nelle sue carceri. E ora vorrebbe seguire la Gran Bretagna con il modello Ruanda. Intanto, questa impostazione sta facendo breccia. C’è stata una lettera di Danimarca, Lituania, Lettonia, Estonia, Slovacchia, Grecia, Malta e Austria perché la Commissione europea finanzi la costruzione di muri di confine. Il nuovo premier della Slovacchia, Robert Fico, ha appena annunciato di essere pronto ad utilizzare anche la forza contro i migranti che si presenteranno ai confini. Questo per non dire delle maniere brutali utilizzate dalle polizie di Ungheria, Grecia, Croazia e Slovenia.