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di Giovanni Tomasin

Il Piccolo, 24 ottobre 2023

“I Cpr non funzionano”. Queste strutture “dovrebbero essere centri per il rimpatrio, ma in realtà quando anche in altri periodi, non è questa la prima volta, si sono prolungati i tempi di permanenza al loro interno la percentuale di coloro che poi vengono effettivamente rimpatriati non varia molto, rimane attorno al 50%. C’è un complessivo non funzionamento dello strumento”. Lo ha affermato il presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, in visita oggi, lunedì 23 ottobre, a Trieste. I Cpr, ha spiegato, “devono essere ristretti a quelle situazioni in cui si ha realmente una prospettiva di rimpatriare”.

Inoltre “ci deve essere una tutela giurisdizionale, che attualmente non c’è, e ci deve essere la possibilità di organizzare anche in altro modo il tempo all’interno, perché un tempo vuoto come è oggi, trascorso da persone che sono lì, e essere lì significa e aver perso delle speranze, può essere un tempo esplosivo”.

Il rischio di radicalizzazione islamica è un “tema che deve far mantenere sempre gli occhi bene aperti, perché tutti i luoghi chiusi, di collettività chiuse, possono avere rischi di esasperazione che poi prendono forme di radicalizzazione. Ma non vedo questo rischio attuale nel carcere italiano”, afferma ancora Palma, in merito al rischio di radicalizzazione islamica nelle carceri. “Abbiamo superato varie crisi” a riguardo, ha aggiunto: “C’è stata una capacità complessiva del sistema di non fare esplodere situazioni di questo genere. Su questo punto” il sistema “funziona con molta abnegazione delle persone che operano”.

Parlando poi della situazione dei penitenziari in Italia, Palma ha osservato che al loro interno “si delinea una sofferenza di tipo generale: sofferenza nei numeri, soprattutto del ritmo di crescita, e sofferenza nel livello di tensione, che poi riguarda anche chi in carcere opera”. I penitenziari sono “pieni di persone che sono lì per sentenze molto brevi per reati, che hanno anche un impatto nella collettività, ma sono reati minori e dovrebbero trovare altre forme di regolazione”. Queste strutture non possono “diventare l’elemento che è chiamato a risolvere segregando tutto quello che non si è saputo risolvere all’esterno”, come “i disturbi di tipo psichico, la presenza dei senza dimora, la tossicodipendenza”, ha concluso.