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di Francesco Olivo

La Stampa, 30 agosto 2023

Il coordinamento affidato al sottosegretario Mantovano per evitare le frizioni con il Colle e il mondo cattolico emerse dopo il decreto Cutro. All’opinione pubblica “è difficile spiegare quello che succede”. Ma Giorgia Meloni vorrebbe che almeno al Quirinale e al mondo cattolico le cose arrivassero in maniera più chiara.

L’immigrazione è, insieme alla manovra, il tema che toglie il sonno alla premier e come tutte le partite più delicate, a gestire il coordinamento tra i ministri sarà Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con buoni uffici al Colle e non altrettanto fluidi in via Bellerio, sede della Lega che sta tornando a ribollire.

Ripensare la gestione dei dossier dei migranti, affidandoli nelle mani di quello che Matteo Salvini percepisce come un avversario, è una maniera per cercare di togliere al leader della Lega uno strumento di propaganda in vista delle Europee. In via della Scrofa si osserva con preoccupazione il ritorno della retorica salviniana sui “decreti sicurezza” e Mantovano cercherà quindi di mettere un argine, attraverso il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr).

Dalla Lega però si rifiuta l’idea che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sia stato di fatto commissariato. Anzi, proprio dal Viminale è arrivata nei giorni scorsi la richiesta di un impegno dell’intelligence per cercare di affrontare una situazione ormai fuori controllo, non tanto nel sistema dell’accoglienza, che secondo Piantedosi sta reggendo, ma per cercare di monitorare le partenze.

Secondo quanto l’ex prefetto di Roma ha riferito ai suoi colleghi, infatti, soprattutto in Tunisia, serve un maggiore lavoro di analisi per capire chi ci sia dietro al numero di spropositato di imbarcazioni di tutti i tipi che si lanciano verso le coste italiane. Chiedere di coinvolgere al massimo i servizi segreti vuol dire anche chiamare alle proprie responsabilità Palazzo Chigi, e quindi lo stesso Mantovano. Quello che Piantedosi spiega spesso ai suoi interlocutori è che il lavoro del ministero dell’Interno comincia quando le persone arrivano in Italia, mentre la vicenda migratoria, specie nell’accezione che Meloni sottolinea spesso, è molto più ampia e coinvolge necessariamente diplomazia e servizi segreti.

Nel governo, per il momento, nessuno mette in discussione la bontà degli accordi firmati dalla premier e dall’Unione europea con il regime di Kais Saied, ma i risultati non si vedono e il negoziato tra Tunisia e Fondo monetario, decisivo per le sorti dello Stato nordafricano, non sembra sbloccarsi, nonostante le insistenze italiane.

I numeri degli sbarchi sono quelli che sono e nemmeno i più entusiasti tifosi del governo possono sperare che basti il nuovo provvedimento per attenuare la portata di un fenomeno che la destra aveva promesso di affrontare con il pugno di ferro. Meloni ne ha parlato ieri al telefono con lo stesso Saied: il punto, ha poi spiegato Palazzo Chigi, sono le relazioni bilaterali e la gestione dei flussi migratori. L’emergenza continua, bisogna aumentare gli sforzi nella lotta contro la migrazione illegale. Meloni ha assicurato alla Tunisia che il sostegno italiano, anche in Europa, non verrà meno.

L’auspicio della premier è che il prossimo decreto, che dovrebbe intervenire sulle espulsioni, abbia una vita meno travagliata di quello approvato nel Consiglio dei ministri straordinario a Cutro e poi ritoccato per lunghi giorni, dopo una complessa interlocuzione con il Quirinale sul tema della protezione speciale dei migranti. La vicenda del decreto nato sulle coste calabresi è proseguita per altri due mesi e anche la conversione parlamentare fu oggetto di una trattativa molto tesa, con la Lega che spinse fino all’ultimo minuto per reintrodurre molti elementi dei decreti sicurezza, fiore all’occhiello dell’età dell’oro di Salvini ministro dell’Interno. Proprio per evitare quel tipo di contrasti, che Meloni non vuole in nessun modo provocare, la partita è stata affidata a Mantovano, che notoriamente ha un rapporto cordiale e privilegiato con il Colle, ma anche con il mondo cattolico che non vede di buon occhio la linea dura sull’immigrazione.