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di Alessandro Barbera

La Stampa, 22 gennaio 2024

L’ex ministro degli Interni boccia l’ipotesi accarezzata da Palazzo Chigi di un protocollo con Ankara per la gestione dei flussi: “Legittimerebbe la divisione in due del Paese”. “Rivolgersi alla Turchia per risolvere il problema dell’immigrazione dalla Libia temo sia giuridicamente impossibile. Non solo: legittima la divisione in due del Paese. L’Italia e l’Europa non possono permetterselo”. Per Marco Minniti, già ministro dell’Interno e capo della fondazione di Leonardo Med-Or l’idea emersa dopo la visita di Meloni a Istanbul di chiedere aiuto al più ambiguo dei mediatori è a dir poco discutibile.

Minniti, oggi a Bruxelles Italia, Francia e Germania proporranno formalmente la missione di pattugliamento nel Mar Rosso. Basterà?

“Mi sembra la risposta più calibrata. I raid aerei rischiano solo di accendere il conflitto”.

Ieri i ribelli Houthi hanno fatto passare 64 navi dopo aver issato uno striscione in cui si leggeva “non abbiamo nulla a che fare con Israele”. Che cosa unisce una tribù yemenita con il conflitto a Gaza?

“Dopo il 7 ottobre pensavamo che i punti più drammatici di crisi potessero essere il Libano e la Cisgiordania. Avevamo sottovalutato il cosiddetto asse della resistenza. E’ un nome che sembra un’offesa alla storia ma tiene insieme tre organizzazioni: Hamas, Hezbollah e gli Houthi. E’ un’asse che mette insieme cose molto diverse fra loro, sciiti e sunniti, ma tuttavia uniti da una guida politica e militare: l’Iran. Non è un caso per esempio che gli Houthi utilizzino missili a media a lunga gittata forniti da Teheran. Era già accaduto durante l’Expo di Dubai”.

Israele e l’Occidente rischiano l’escalation con l’Iran?

“L’escalation è evidente, basta mettere insieme i fatti. L’Iran che colpisce l’Iraq con il quale aveva ed ha forti rapporti politici. L’Iran che colpisce il Pakistan e il Pakistan che risponde. In queste ore è giunta la notizia che nell’attacco angloamericano sui campi Houthi fra i morti ci sono membri di Hezbollah e pasdaran iraniani. Anche se nessuno dei diretti protagonisti ha un interesse in sé e le capacità militari per affrontare un conflitto regionale, la situazione può sfuggire di mano”.

Nel frattempo in Israele ci sono manifestanti sotto casa del premier Netanyahu. A questo punto anche l’indebolimento del governo di Gerusalemme è un rischio?

“Una risposta militare a quel che è accaduto il 7 ottobre, per quanto legittima e comprensibile, senza un orizzonte politico non porta da nessuna parte. Entrambe le parti hanno bocciato l’ipotesi di un accordo di pace duraturo. Comincia a farsi strada anche in Israele l’idea che un Commander in chief non può pensare che l’unico modo per prolungare la sua vita politica sia quella di prolungare all’infinito la guerra”.

Cosa pensa dovrebbe fare la comunità internazionale?

“Non voglio sostituirmi a nessuno, faccio solo qualche considerazione. La prima: penso che occorrerebbe salvaguardare la stabilità dell’Egitto, sottoposto ad una pressione gigantesca, da Nord e Sud. Da un lato il valico di Rafah, dove la popolazione si è quadruplicata. Gli abitanti di Gaza non hanno più dove andare. Dall’altra parte c’è il Sudan, dove stanno avendo la meglio le milizie legate alla Russia”.

Putin è davvero così forte in Africa?

“Eccome. La Russia è presente in Mali, in Burkina Faso, nella Repubblica Centrafricana. Il Niger, che è un Paese chiave nel Sahel per il controllo dei flussi migratori, dopo il colpo di Stato e l’avvento della giunta militare ha graziato chi era in galera per traffico di essere umani. Ha messo in discussione gli accordi con l’Unione europea, e fatto un accordo militare con Putin. Mi chiedo se a Bruxelles hanno compreso fino in fondo la posta in gioco”.

Di certo l’ha capito Erdogan, che gioca su tutti i tavoli. Sbaglio?

“Erdogan ha puntato tutto sul ruolo geopolitico della Turchia, facendo dimenticare i problemi di un Paese con l’inflazione all’ottanta per cento. Ha rivinto le elezioni, ha avuto un ruolo decisivo negli accordi sul grano ucraino, ha tentato persino di mettere d’accordo Israele e Hamas. Quando ha capito che quel ruolo se lo è preso il Qatar, ha spalleggiato Hamas. In queste ore si rincorrono le voci di incontri fra i servizi turchi e i loro vertici…”

Dunque ha sbagliato sabato Meloni a incontrarlo con l’obiettivo di chiedere aiuto per risolvere i problemi in Libia?

“Penso sia stato utile che la presidente Meloni abbia incontrato Erdogan. Non sappiamo cosa si sono detti, non c’è stata una conferenza stampa, tuttavia possiamo escludere la possibilità che l’Italia possa firmare un accordo con la Turchia per governare i flussi migratori dalla Libia. Mi spiego meglio: se l’Italia vuole sottoscrivere un accordo con Ankara per gestire i flussi - seppur minori - dalla Turchia, ben venga. Sarebbe una scelta in linea con quanto fatto in passato dall’Unione europea per i profughi siriani. Altra cosa è immaginare di chiedere aiuto per gestire gli sbarchi dalla Libia. Anche solo provarci sarebbe una scelta drammaticamente sbagliata”.

Perché?

“Per almeno due ragioni. La prima è di principio: violerebbe la sovranità della Libia, dunque al di fuori del diritto internazionale. La seconda è di sostanza: metterebbe in discussione gli sforzi diplomatici che sta facendo l’inviato delle Nazioni Unite in Libia per nuove elezioni ed evitare la spaccatura definitiva del Paese in due: uno governato da Tripoli, amico della Turchia, l’altro a est, legato alla Russia di Putin. Dovrebbe essere interesse dell’Italia e dell’Europa lavorare perché il piano dell’Onu, seppur difficilissimo, possa trovare una sponda forte e credibile: il Paese deve tornare unito, ai libici, anche attraverso nuove elezioni”.

Il fatto che Erdogan abbia un buon ascendente su una delle parti in causa non può aiutare?

“Temo il rischio di un effetto a specchio. Se discuti con la Turchia a ovest, poi dovresti discutere con la Russia a est. Ricordo che a Bengasi regna il generale Haftar, il quale qualche mese fa è stato ricevuto formalmente al Cremlino. Dunque se legittimi una delle due parti, poi devi legittimare anche l’altra. Ce lo possiamo permettere, tenuto conto dell’impegno italiano ed europeo a sostegno dell’Ucraina?”.