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di Laura Borsani

Il Piccolo, 14 gennaio 2023

Il decesso al Centro per i rimpatri avvenne nel gennaio 2020. Opposizione su Garante nazionale e congiunti della vittima. Hanno richiesto l’esclusione dal processo di entrambe le parti civili. Quella del Garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale, e quella dei congiunti del 38enne georgiano Vakhtang Enukidze, che era deceduto il 18 gennaio 2020 al Centro di permanenza per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo, a causa di un edema polmonare e cerebrale, dopo aver assunto una serie di sostanze. Chiamati a rispondere dell’ipotesi di omicidio colposo, legato a comportamenti omissivi, sono Simone Borile, 53 anni, padovano, all’epoca direttore del Cpr, e Roberto Maria La Rosa, 58, che quella notte era operatore all’interno della struttura,il quale avrebbe dovuto, secondo l’accusa, raccogliere le chiamate di emergenza provenienti dalle stanze degli ospiti. Venerdì si è aperto il processo davanti al giudice monocratico Francesca De Mitri.

Con i difensori, avvocati Giorgio Gargiulo e Mattia Basso, a sollevare subito le eccezioni circa l’inammissibilità delle parti civili, nel mettere in discussione il “regolare incardinamento del rapporto processuale di tali soggetti”. Hanno fatto riferimento alla normativa che ha istituito l’Autorità di garanzia per concentrare l’attenzione sull’attribuzione dei compiti, argomentando i motivi dell’esclusione. “Ai fini della legittimazione in qualità di parte civile il fatto dev’essere fonte di danno diretto per la lesione di un interesse soggettivo specificatamente attribuito al Garante dalla legge”, ha affermato l’avvocato Basso.

E “l’imputazione contestata in questo processo è quella di omicidio colposo, un fatto di reato non collegabile alla ventilata condizione di estremo degrado del Cpr. Non vi è una fonte di ancoraggio tra la morte del georgiano e un’asserita lesione delle prerogative del Garante”. Sulla stessa linea l’avvocato Gargiulo, che ha rimarcato la distinzione tra la contestazione di un reato penale e i diritti in ordine alla libertà personale: “Il Garante è preposto a vigilare, visitare i luoghi di restrizione e verificare il rispetto dei diritti personali, diversamente dagli adempimenti circa il diritto alla salute di fronte ad un atto autolesionistico che si è ipotizzato non evitato e pure evitabile”. In sostanza, “esiste un profilo di non connessione del fatto contestato e i compiti di vigilanza del Garante. Manca il nesso di conseguenza immediata e diretta del suo controllo”. I difensori hanno quindi rilevato che l’atto di costituzione di parte civile dei congiunti non è valido, in quanto le sottoscrizioni sulla procura speciale sono state autenticate da un notaio di nazionalità georgiana, anziché da un professionista italiano o dall’ambasciata.

Netta la posizione espressa dal pubblico ministero, che, assieme agli avvocati di parte civile, ha richiesto il rigetto dell’esclusione del Garante. Il pm infatti ha parlato del precipuo compito dell’Autorità di garanzia ai fini della tutela dei diritti alla salute, alla vita e in ordine ai luoghi di restrizione della libertà personale, nel quale rientra anche la violazione penale contestata nell’atto di imputazione. Dunque, “il danno è diretto a quegli interessi di cui l’Autorità di garanzia è titolare”, ha affermato il pm. Quanto alla costituzione dei congiunti, s’è rimessa alla decisione del giudice. L’avvocato Jennifer Schiff (titolare è l’avvocato Riccardo Cattarini) ha sottolineato che “il Garante nazionale è portatore di interessi propri e diretti anche in ragione del tipo di reato contestato, la sua stessa funzione legittima la costituzione di parte civile. Ha tutto il diritto ad essere presente nel processo nel momento in cui ha perso la vita una persona “ristretta” in un Centro”, ritenendo peraltro tardiva l’eccezione sollevata in questa sede piuttosto che in fase di udienza preliminare, e infondata nel merito. L’avvocato Rossana De Agostini (ha sostituito il collega Pietro Romeo, del Foro di Reggio Calabria) a sua volta ha chiesto di insistere per l’ammissione dei congiunti, “cittadini stranieri extracomunitari”: le loro firme sono state autenticate comunque da un pubblico ufficiale.