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di Rinaldo Frignani

Corriere della Sera, 30 agosto 2023

Più di 5.500 gli ingressi. Nel Nord centri pieni. I clandestini attraversano a piedi le montagne del Carso per arrivare a Trieste. Già nell’agosto dello scorso anno il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) a Gradisca d’Isonzo (Udine) registrava un sovraffollamento di 600 persone rispetto alle 200 previste, in una struttura che ospita anche il Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr). Per risolvere la situazione fu deciso di dimezzare le presenze: l’allora ministro dell’Interno Luciana Lamorgese dispose il trasferimento di 300 ospiti in centri di accoglienza nel Friuli-Venezia Giulia e in altre regioni.

Dodici mesi dopo, come riportano anche le associazioni umanitarie - e nonostante le richieste bipartisan al Viminale del Consiglio comunale di Gradisca di chiudere la struttura dopo gravi episodi di violenza - si è ripresentato lo stesso scenario, ma con un’emergenza sbarchi sulle coste siciliane senza precedenti che ha, di riflesso, paralizzato il turn over al Cara. Niente ricambi, quindi, almeno per ora, soprattutto per l’intasamento dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) in tutta Italia dove vengono accompagnati in via prioritaria i profughi dal Mediterraneo. Problemi che si ripetono, ma questa volta con molti più migranti (oltre 500) accampati a Trieste e le reiterate proteste del sindaco Roberto Dipiazza.

Profughi “diversi” - L’attuale responsabile del Viminale Matteo Piantedosi, che già nei mesi scorsi aveva lanciato l’allarme sull’aumento di arrivi dai Balcani ordinando un potenziamento di controlli anche con le autorità slovene nelle province di Trieste e Gorizia e, oltre confine, di Koper e Nova Gorica (in base all’accordo del 2019) ha ordinato l’immediato trasferimento di 200 profughi proprio nei Cas. Un provvedimento che potrebbe cominciare a mettere la rotta balcanica sullo stesso piano di quella mediterranea sul fronte dell’accoglienza. Anche perché il viaggio dei disperati (oltre 128 mila passaggi nel 2022) di oltre 1.500 chilometri, con qualsiasi mezzo, a rischio della vita fra violenze, malattie e hotspot finiti al centro di polemiche per maltrattamenti e precarie condizioni igienico-sanitarie, è un nuovo motivo di tensione.

Passeur clandestini - D’altra parte dall’inizio del 2023, secondo il Viminale, sono già oltre 5.500 i migranti arrivati in Italia dopo essere passati per Turchia e Grecia, Albania, Montenegro, Kosovo, Serbia e Bosnia Erzegovina, anche se i numeri potrebbero essere più alti: i clandestini attraversano a piedi le montagne del Carso, seguendo passaggi come quello di Razgledišče Kroglje (Vedetta di Crogole), questa volta per arrivare a Trieste. Per individuare sia loro sia i trafficanti sono state piazzate anche telecamere nei boschi. Per avere un’idea di quello che sta accadendo basta guardare i dati di quest’anno: prima di Ferragosto dal confine con la Slovenia erano arrivati 4.850 profughi, il 65% dei quali da Bangladesh e Afghanistan, +57% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Addirittura a giugno la percentuale era +178%.

Trend in aumento - Insomma, così come sta avvenendo per la rotta mediterranea, che ieri ha superato quota 113 mila arrivi nel 2023 rispetto ai 105.127 di tutto il 2022, anche su quella dai Balcani si annuncia un trend in sensibile aumento, dato che l’anno scorso le persone identificate dopo il loro arrivo in Friuli-Venezia Giulia sono state 9.476 arrivi (nel 2021 furono 5.736). Si tratta della quota più ampia di migranti rintracciati alle frontiere nazionali terrestri che al momento sono oltre 12 mila, con circa 4 mila uscite verso la Svizzera. Addirittura peggiore lo scenario sugli arrivi dei Balcani frutto del monitoraggio svolto da gennaio a luglio scorsi da alcune associazioni e mediatori culturali (Comunità san Martino al campo, Diaconia valdese, International rescue committee e altre): i migranti intervistati sono stati 7.890 rispetto ai 3.191 dell’anno scorso. Quasi tutti uomini (92%), il 16% minorenni. Sette su dieci afghani, poi pachistani, bengalesi, nepalesi, curdi. Il 72% ha dichiarato di non voler rimanere in Italia, ma di essere solo di passaggio. Ma se fossero inseriti nelle quote dei flussi le loro intenzioni potrebbero cambiare.