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di Gianluca Mercuri

Corriere della Sera, 3 ottobre 2023

I nodi giuridici e costituzionali dello scontro tra governo e magistratura sui migranti (e il suo significato politico). Dovremo abituarci, da qui alle elezioni europee del giugno 2024, a continui salti da una trincea polemica all’altra sulla questione migranti: questa settimana, esce la Germania ed entra la magistratura. Il dato costante: in prima linea c’è, personalmente, Giorgia Meloni.

Da una parte, la presidente del Consiglio prepara un probabile faccia a faccia, tra tre giorni, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, con l’obiettivo di arginare gli effetti diplomatici dell’attacco lanciato dal governo italiano sui finanziamenti tedeschi alle Ong, le Organizzazioni non governative impegnate a salvare migranti nel Mediterraneo centrale.

Dall’altra, Meloni ha spostato l’obiettivo sulla magistratura: in particolare, sulla giudice di Catania che nei giorni scorsi ha deciso il ritorno in libertà di quattro migranti trattenuti nel Cpr (Centro di permanenza per i rimpatri) di Pozzallo, in provincia di Ragusa. La premier si è detta “basita” per un provvedimento che, nel mettere in discussione il decreto Cutro sui migranti, rappresenta a suo avviso un atto ostile nei confronti di “un governo democraticamente eletto”, evocando così uno scontro che ricorda l’epoca dei governi Berlusconi.

La risposta della giudice Apostolico ha replicato con una dichiarazione all’agenzia Ansa: “Non voglio entrare nella polemica, né nel merito della vicenda. Il mio provvedimento è impugnabile con ricorso per Cassazione, non devo stare a difenderlo. Non rientra nei miei compiti. E poi non si deve trasformare una questione giuridica in una vicenda personale”.

Ma quali sono i nodi giuridici? A fare infuriare Meloni sono state le motivazioni con cui i 4 migranti liberati chiedono protezione. Uno, già espulso due anni fa, sarebbe tornato in Italia “perché perseguitato per caratteristiche fisiche che i cercatori d’oro del suo Paese, secondo credenze locali, ritengono favorevoli alle loro attività (particolari linee della mano)”. Un altro temeva la reazione dei debitori dopo aver chiesto soldi per curare il padre. Il terzo migrante temeva la v endetta della famiglia della sua ragazza, annegata dopo aver tentato di sbarcare in Italia con lui. Il quarto è sbarcato a Lampedusa il 19 settembre in cerca di soldi per far partorire in sicurezza la moglie, dopo tre neonati persi.

E i nodi costituzionali? Il punto è che, al di là delle vicende individuali, per il Tribunale di Catania “le nuove norme sulla detenzione per i richiedenti asilo sono contrarie alle norme Ue e alla Costituzione italiana. Trattenere chi chiede protezione senza effettuare una valutazione su base individuale e chiedendo una garanzia economica come alternativa alla detenzione è illegittimo”. I giudici si rifanno all’articolo 10 della Costituzione: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Ma l’aspetto davvero dirimente è che i giudici escludono “che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale”. Per il costituzionalista Fulco Lanchester, intervistato da Virginia Piccolillo, il Tribunale di Catania ha solo “applicato le norme” perché i decreti del governo “non sono scritti bene” e violano non solo l’articolo 10 ma anche il 13, quello sulla libertà personale.

Perché è importante? Perché la sentenza contesta il punto decisivo del nuovo Patto europeo per la migrazione e l’asilo, in discussione da mesi e in dirittura d’arrivo in questi giorni. Il governo Meloni lo ha accolto con favore, rinunciando a rivedere le regole di Dublino che accollano i migranti ai Paesi di primo approdo, e dunque a ricollocamenti obbligatori.

Perché lo ha fatto? Perché in cambio ha ottenuto proprio la possibilità di allargare la lista dei Paesi considerati “sicuri”, in modo da potere respingere più facilmente le domande di protezione dei loro cittadini. Dunque, la sentenza di Catania attacca uno dei due pilastri della politica (anti) migratoria del governo Meloni, ovvero lo snellimento e la moltiplicazione delle espulsioni. L’altro è l’idea, costantemente ripetuta dalla premier, di “fermare le partenze” con accordi bilaterali, primo fra tutti quello con la Tunisia. Che finora ha funzionato al contrario (gli arrivi da quel Paese sono triplicati) ma che il governo conta di sbloccare se e quando arriveranno a Tunisi i fondi promessi dall’Ue.