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di Angela Nocioni

L’Unità, 2 gennaio 2024

Sul tavolo della Procura di Roma c’è una denuncia per un respingimento collettivo illegale di 172 migranti in Libia molto simile a quello avvenuto lo scorso 15 dicembre al largo di Zwara in acque internazionali. È stato presentato a fine dicembre da due vittime sudanesi di quella deportazione avvenuta il 14 giugno del 2021. In entrambi i casi a coordinare l’operazione di soccorso ai naufraghi è stato il Comando delle capitanerie di porto della guardia costiera (l’Mrcc) italiana.

In entrambi i casi a deportare i naufraghi in Libia è stato il rimorchiatore Vos Triton, battente bandiera di Gibilterra, mandato sul luogo del salvataggio da un ordine dell’Mrcc di Roma. Nell’ultimo caso, quello del 15 dicembre, ha deportato in Libia 25 sopravvissuti a una strage in cui sono affogate 61 persone, tra cui molti bambini, cadute in mare da un gommone sgonfio la cui posizione esatta Gps era stata comunicata alle 17,26 all’Mrcc di Roma dalla piattaforma di aiuto ai migranti Alarmphone, quattro ore prima che l’Mrcc avviasse i soccorsi.

Perché la Guardia costiera italiana ha aspettato tanto, cosa ha fatto nel frattempo, perché quando si è decisa a inviare un allarme Inmarsat alle navi in area l’ha fatto “per conto della guardia costiera libica” (come se si potessero coordinare soccorsi evitando di esser responsabili di dove vengono portati i sopravvissuti)? Il Comando delle capitanerie di porto di Roma si rifiuta di rispondere da ormai due settimane. Non spiega nemmeno se è stato qualcuno dalla Libia a chiedere di inviare l’allarme Inmarsat (chi, in caso, l’ha chiesto? Un ufficiale libico? Un ufficiale italiano che fa le veci dei libici e magari sta in Libia?).

Né dice se l’ha mandato Roma perché i libici non sono in grado di mandare un messaggio Inmarsat da soli. In tal caso, come pensare di potergli affidare i soccorsi in mare e quindi una zona Sar di competenza? D’altronde il report di Alarmphone su quel caso spiega chiaramente che, al solito, la guardia costiera libica (composta da bande di miliziani in lotta tra loro) non rispondeva al telefono per ricevere la segnalazione dell’emergenza. Che quando alla fine qualcuno ha risposto non era in grado di comunicare in inglese. E che comunque le motovedette la Libia non le ha mandate perché c’era il mare grosso. Si tratta delle motovedette che l’Italia ha dato alla guardia costiera libica e che quello stesso giorno sono uscite in almeno tre casi per fare delle catture e non dei soccorsi.

Ricevuto da Roma l’ordine di fare il salvataggio, la Vos Triton ha preso a bordo i 25 sopravvissuti e li ha portati in Libia dove ora sono rinchiusi illegalmente in prigione. Lo ha deciso il comandante del rimorchiatore il porto di sbarco o ha obbedito a un ordine? Di chi? Era Roma che coordinava i soccorsi. Chissà perché proprio la Vos Triton è arrivata, benché così in ritardo, sul luogo segnalato. Dal Comando della capitaneria di Roma si vedono tutte le imbarcazioni che navigano, si ha una finestra dettagliata sui movimenti in mare, e si può comunicare con gli equipaggi direttamente.

In quattro ore davvero non era passata nessuna nave in quell’area di mare di solito trafficatissima dove ci sono piattaforme petrolifere e numerose rotte commerciali assai battute? Perché non sono state mobilitate da Roma altre imbarcazioni prima della Vos Triton? A queste e ad altre domande - per esempio perché l’Mrcc abbia taciuto la presenza nella scena del naufragio della nave italiana Asso Trenta, rivelata da Sergio Scandura di Radio radicale che ha studiato i tracciati, e cosa abbia fatto esattamente l’Asso Trenta durante i soccorsi - la Guardia costiera non risponde. Avrà mica dato la precedenza alla Vos Triton per evitare di far salire i naufraghi su una nave italiana ed essere costretta a quel punto a portarli in Italia?

Magari se glielo chiede un magistrato risponde. Quel che è certo è che se la Guardia costiera non potrà tacere davanti alla Procura di Roma (sempre che la Procura non voglia seppellire l’esposto delle vittime) per quel respingimento collettivo illegale avvenuto nel giugno di tre anni fa, molto simile a questo del 15 dicembre 2022, lo si deve a due ragazzi sudanesi deportati che hanno fatto appello alla giustizia italiana (e alle persone in Italia che si sono occupate di seguire il ricorso, tra gli altri l’avv Arturo Salerni del Comitato nuovi desaparecidos).

Ecco la storia. La mattina del 14 giugno 2021 un barcone partito dalla Libia con a bordo 172 persone rimane alla deriva al largo di Zuwara, oltre la piattaforma petrolifera in acque internazionali che si vede navigando verso Lampedusa. Alcune persone si sentono male. Manca l’acqua. Alto il rischio che un movimento improvviso nello scafo sovraffollato rovesci tutti in mare. Alarm Phone riceve un Sos alle 2,17. Individuata la posizione, contatta prima Malta alle 3,43 (oltre all’agenzia europea Frontex e all’Unhrc) e poi Roma. Alle 11,54 l’Italia comunica che “un rimorchiatore” sta raggiungendo la zona per i soccorsi. Non dice il nome della nave. Si tratta della Vos Triton, una grande nave rossa che batte bandiera di Gibilterra e che risponde all’ufficio italiano della società olandese Vroon.

La nave rossa arriva a qualche centinaio di metri dal barcone stracarico e si ferma. Non dà messaggi ai naufraghi che sbracciano pericolosamente per chiedere aiuto. Otto ragazzi, uno di loro si chiama Mosab, si buttano in acqua e raggiungono a nuoto il rimorchiatore. Filma tutta la scena Sea Bird, il piccolo aereo da ricognizione della Ong Sea Watch, che nel frattempo ha raggiunto la zona. E l’equipaggio del rimorchiatore lo sa. La Vos Triton prende a bordo gli otto e poi si avvicina, aggancia il barcone e carica tutti a bordo. Il porto sicuro più vicino è Lampedusa. Eppure la Vos Triton non gira la prua verso l’isola siciliana, me resta ferma in attesa con i naufraghi accalcati sul ponte e il barcone tenuto a una fiancata da un cavo. Per ore.

Alle 18,30 da sud arriva la motovedetta 656 Zawiya, una di quelle date dall’Italia alla Libia. Tutti i naufraghi vengono obbligati a salire a bordo della motovedetta che li riporta in Libia. Il respingimento di massa indiscriminato è stato ordinato espressamente o lasciato compiere implicitamente dall’Mrcc che ha ordinato e coordinato i soccorsi? O la decisione è stata assunta autonomamente dal comandante della Vos Triton?

Il quale in questa ipotesi, chissà perché mai, si sarebbe preso per sua volontà la briga di aspettare per ore, con il ponte pieno di gente disperata, la motovedetta libica con l’incomprensibile intento di violare il diritto del mare, la convenzione di Ginevra e una serie di norme sul diritto dei naufraghi. La notizia che la Vos Triton si stava dirigendo sul luogo dell’emergenza è stata data da Roma ad Alarm Phone. Allora il respingimento è stato disposto e coordinato da Mrcc Italia? Per saperlo il Comitato Nuovi Desaparecidos e l’allora senatore Gregorio De Falco hanno chiesto allora un “accesso agli atti”, sia al ministero della Difesa che a quello delle Infrastrutture, da cui dipendono la centrale Mrcc e la Guardia Costiera.

Dal Ministero hanno negato i documenti dicendo che avrebbero creato problemi nei rapporti con la Libia e sostenendo che non si può concedere accesso a atti su “programmazione, pianificazione e condotta di attività operative-esercitazioni Nato e nazionali, tra le quali rientrano talune attività di vigilanza e di pattugliamento avvenute nell’area marittima interessata dall’evento e che ha visto coinvolti assetti militari europei”. Contro il rifiuto è stato fatto ricorso al Tar del Lazio che il 27 marzo del 2022 l’ha accolto dando 40 giorni di tempo per consegnare i documenti oscurando le parti ritenute da non pubblicare.

I giudici hanno precisato che dai filmati realizzati dall’equipaggio dell’aereo della Ong Sea Watch “non emerge la presenza di navi o aerei militari Nato sulla scena dell’evento”. Allo scadere dei 40 giorni i ministeri hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato che ha avallato la loro volontà di silenzio invocando “ragioni di sicurezza” a tutela di rapporti diplomatici internazionali. La sentenza del Consiglio di Stato avrebbe messo una pietra tombale sul caso, ma due dei ragazzi deportati in Libia, due vittime del respingimento, si sono appellati alla giustizia italiana anche in nome degli altri che erano sul barcone. L’hanno fatto sostenuti dall’Associazione Giuristi per l’Immigrazione (Asgi), il Comitato Nuovi Desaparecidos, Open Arms, Progetto Diritti, Sea Watch, Mediterranea, Jl Project e Alarm Phone.

Uno dei due ricorrenti, Mosad, sudanese, subito dopo lo sbarco a Tripoli, viene rilasciato. Incredulo, si allontana dall’area portuale e raggiunge una delle piazze dove vengono reclutati i migranti per qualche lavoro occasionale. Lì dei poliziotti, accertato che è sudanese, lo rinchiudono nella prigione di Qaryan, dove tra infinite vessazioni viene tenuto più di un anno. Lui un giorno convince una delle guardie a prestargli il cellulare, chiama l’Unhcr per chiedere aiuto. Non succede nulla. In prigione lì ci sono molte persone con documenti Unhcr che attestano il loro status di richiedenti asilo ma, come lui, non riescono a ricevere aiuto.

Mosad viene trasferito nelle celle di Zuwara, a Mellitah, dove resta per oltre tre mesi, fino al 24 novembre, quando viene caricato su un autobus insieme a molti altri e portato nel deserto, in una zona vicina al confine con il Sudan e l’Egitto. Riesce a chiamare di nuovo l’ufficio l’ufficio Unhcr di Tripoli. Dice che ha capito che lo stanno riportando in Sudan dive non puó assolutamente rientrare. Lo lasciano nel Sahara oltre il confine del Sudan, è il dicembre 2022. Dopo dodici giorni riesce ad arrivare verso Khartoum e infine cerca rifugio a Port Sudan. In Sudan c’è la guerra civile. L’altro ricorrente, Adam, è stato più fortunato ed è riuscito a nascondersi a Tripoli.

Racconta Emilio Drudi per il Comitato nuovi desaparecidos che uno dei legali dei migranti, Arturo Salerni spiega: “Interpellato dal quotidiano Avvenire durante il respingimento l’amministratore delegato della società di navigazione si è rifiutato di fornire notizie e chiarimenti su quanto stava accadendo. Ora, appena si aprirà il procedimento presso la Procura di Roma, però, sarà costretto a parlare. A maggior ragione sarà obbligato a farlo il comandante della nave. E allora emergeranno con precisione le responsabilità di chi ha impartito gli ordini e di chi li ha eseguiti senza porsi minimamente alcun problema, né di natura legale né di natura etica”.

Aspettiamo tutti di vedere come e quando la Procura di Roma deciderà di trattare quest’esposto dei due sudanesi. Un procedimento giudiziario sul respingimento del 14 giugno 2021 - sul quale il Comando delle capitanerie di porto, il Ministero delle Infrastrutture e quello della Difesa e non ultimo il Consiglio di Stato hanno fatto l’impossibile pur di imporre il segreto - potrà forse rispondere indirettamente anche a qualcuna delle domande sulle quali la Guardia costiera, anche sull’ultima strage del 15 dicembre, tace.