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di Eleonora Camilli

La Stampa, 1 settembre 2023

Spesso tutto si blocca quando mancano gli accordi di riammissione. I moduli grigi, circondati da filo spinato, sono pronti. I primi 100 migranti sono già stati trasferiti da Lampedusa, ma le sezioni vanno ancora strutturate: una parte centro di accoglienza, l’altra sezione per le procedure di frontiera. Passa dal nuovo hotspot di Modica-Pozzallo una delle scommesse del governo Meloni sull’immigrazione. Sarà questo, infatti, il primo centro di trattenimento per le persone che provengono da Paesi terzi sicuri.

Fallita la strategia di “fermare le partenze” ora si punta alla riproposizione di una vecchia ricetta, quella del “rimandiamoli tutti a casa”, tradotto: aumentare i rimpatri. Lo ripete da giorni anche la presidente del Consiglio nelle interviste. Più facile a dirsi, però, che a farsi. Negli anni tutti i governi che ci hanno provato alla fine hanno dovuto ammettere il fallimento. Al Viminale, però, sono convinti di avere due assi nella manica: per prima cosa le nuove norme inserite nel decreto Cutro (legge 50/2023). In particolare, le cosiddette procedure accelerate di frontiera per chi proviene dai Paesi considerati sicuri, cioè verso i quali le persone possono essere rimandate.

17 in tutto: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia. Per chi entra irregolarmente in Italia, via mare o via terra, ed è originario di uno di questi Paesi, è previsto dunque un procedimento speciale, accelerato, una sorta di “direttissima”. Il secondo obiettivo è rendere possibile il rimpatrio anche dei migranti in attesa di processo. Un altro punto chiave sarà inserito invece nel prossimo decreto sicurezza, più volte annunciato. Difficile, però, che da sole queste due mosse possano portare dei risultati nei numeri.

Il primo a dirsi scettico è il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia che parla di una strategia paragonabile all’idea di “svuotare il mare con un secchio”. Secondo il governatore veneto della Lega “quest’anno arriveremo a oltre 200 mila persone, solo l’8% avrà lo status di rifugiato. Quindi almeno 150 mila dovrebbero essere riaccompagnate una ad una in aereo con le forze dell’ordine. La vedo dura”.

I porti chiusi - Fu proprio la Lega, con Matteo Salvini ministro dell’Interno a puntare sui rimpatri per mostrare il pugno duro sui migranti nel periodo dei cosiddetti “porti chiusi”. Nel 2018 furono 6.396 le persone rimandate indietro, leggermente meno di quanto successo l’anno precedente quando al Viminale c’era Marco Minniti e il dato si attestò sui 6.577.

Il dato è poi bruscamente sceso durante la pandemia per la chiusura delle frontiere: così nel 2020 il numero si dimezza a 3.351, un dato che rimane più o meno stabile anche nei due anni successivi, 3.420 nel 2021 e 3.916 nel 2022. Anche nei primi sette mesi di quest’anno (da gennaio a luglio 2023), nonostante il flusso dei migranti abbia superato i 100 mila arrivi, le persone rimpatriate sono state 2.500. Numeri in linea con l’andamento registrato dal 2020. Il governo rivendica già un aumento del 30% rispetto al 2022, che in numeri significa però 500 persone.

La catena - A bloccare negli anni l’obiettivo di “rimandare tutti a casa” non sono state solo le procedure di emissione di provvedimenti di espulsione, cioè i fogli di via per chi non ha diritto a restare. La catena si ferma quando si tratta di applicare nella pratica il provvedimento. Innanzitutto, le riammissioni sono vincolate agli accordi tra i Paesi. Ad oggi l’Italia ne ha un numero limitato, qualche intesa è in via di definizione ma più meno i Paesi che accettano di riprendere indietro i migranti sono sempre gli stessi. Non è un caso che la maggior parte delle persone negli ultimi anni sia stata rimpatriata principalmente in Tunisia, con cui l’Italia ha un solido accordo da tempo. Negli incontri avuti di recente con i rappresentanti dell’esecutivo, il presidente Kaled Saïed ha ribadito di voler proseguire sulla scia di quest’intesa ma solo per quanto riguarda i cittadini tunisini. Ha rimandato al mittente, invece, l’ipotesi di riprendere nel suo Paese anche le persone che lì sono transitate prima di imbarcarsi verso l’Italia. Cioè la stragrande maggioranza degli oltre 114mila migranti approdati sulle nostre coste da gennaio.

L’altro scoglio, infine, è quello economico. Rimpatriare con scorta una persona fino al Paese di origine può costare anche 5000 euro a migrante, perché la macchina burocratica da mettere in moto è complicata e prevede personale specializzato. A questa voce va aggiunta la spesa per le strutture preposte alla detenzione, cioè i Cpr.

Secondo un report della Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili, che ha analizzato i bandi delle prefetture negli ultimi anni, nel periodo 2021-2023 il costo previsto per gestire i dieci centri finora attivi sul territorio è di 56 milioni di euro. Una cifra che potrebbe raddoppiare se, come da intenzioni, si riuscirà ad aprire un centro per il rimpatrio in ogni regione. Infine, c’è la partita non secondaria dei diritti. Le procedure accelerate e le riammissioni massive, non permettono una corretta analisi delle domande d’asilo in particolare di alcuni soggetti considerati vulnerabili, come le donne vittime di tratta o le persone perseguitate per motivi religiosi o di orientamento sessuale.