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di Tonia Mastrobuoni

La Repubblica, 20 marzo 2023

Alla vigilia di un cruciale viaggio in Georgia, la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock (Verdi) accetta di parlare a tutto campo con Repubblica e altri tre giornali europei. In particolare sulla tragedia di Cutro, sull’Ucraina e sulla Cina, ma anche sulla “politica estera femminista”, sulle tensioni in Medio Oriente e la crescente irritazione in Europa per l’erraticità e la perdita di leadership in Germania.

Ministra, nel tragico naufragio di Cutro sono morti oltre 80 migranti: 34 erano minori. Il governo Meloni respinge ogni responsabilità e continua a criminalizzare le ong che cercano di scongiurare queste tragedie. Non pensa che bisognerebbe ripristinare le missioni europee nel Mediterraneo?

“Se chiunque provasse solo a immaginare di stare su uno di quei gommoni e di assistere alla morte del proprio figlio nel Mediterraneo, non credo che dormirebbe più sonni tranquilli. La morte nel Mediterraneo è la ferita aperta dell’Europa: non siamo riusciti a definire una politica comune dell’immigrazione. Per quanto difficile, continueremo a lavorarci ostinatamente. Non possiamo abbandonare i Paesi ai confini esterni della Ue, né quando salvano gli esseri umani in mare, né quando respingono chi arriva alla frontiera ma non ha diritto all’asilo”.

E quindi?

“C’è bisogno di responsabilità comune e dobbiamo rafforzare la nostra solidarietà. Perciò per me è così importante che ripristiniamo una missione europea di salvataggio in mare. Significa anche responsabilizzare i Paesi ai confini esteri della Ue a registrare chi arriva. E quelle persone devono essere trattate in modo umano e occorre salvare chiunque sia in pericolo di vita. Infine, la redistribuzione non può essere spontanea, ma espressione di un processo ordinato. Ci vuole umanità e ordine”.

Perché, da leader dei Verdi, lei sostiene che essere pacifisti vuol dire sostenere l’Ucraina anche con le armi?

“Il pacifismo non vuol dire tollerare le ingiustizie. Ma che nessuno può usare la violenza per ottenere i suoi obiettivi. Se Putin viola brutalmente il diritto internazionale, assale un Paese vicino e più piccolo, uccide a sangue freddo delle persone, dal mio punto di vista abbiamo la responsabilità internazionale di aiutare la vittima. E in questo caso è l’Ucraina e il suo popolo. Perciò abbiamo cercato per l’intero anno scorso di dissuadere Putin anche con i canali diplomatici da questa brutale guerra d’aggressione. Ma la risposta di Putin è stata: attacchi ancora più brutali. Perciò sosteniamo l’Ucraina anche con le armi. Perché una pace imposta con la forza non è una pace. E voltarsi dall’altra parte sarebbe omissione di soccorso”.

Pensa che l’Ucraina sia forte abbastanza da costringere la Russia alla ritirata? Che possibilità vede di una pace già entro la fine dell’anno?

“Noi lavoriamo giorno e notte per la pace. Finché Putin bombarda degli innocenti, viola il trattato dell’Onu e non ritira le sue truppe, cerchiamo di sostenere l’Ucraina per salvare vite umane. E lo faremo finché sarà necessario. Ma è chiaro che alla lunga la pace non può essere costruita con le armi, né la libertà. Finché Putin tiene una pistola alla tempia dell’Ucraina, ogni negoziato sarebbe un ricatto”.

Vede qualche possibilità che i negoziati per l’adesione dell’Ucraina alla Ue inizino già quest’anno? E che ne pensa delle garanzie per la sicurezza chieste da Kiev alla Nato?

“Anzitutto chapeau alle riforme intraprese nonostante la guerra per accelerare il processo di adesione alla Ue. Ma per quanto l’Ucraina debba far parte della Ue, non possiamo fare sconti sullo stato di diritto, sulla libertà di opinione e sui valori comuni della Ue. Perciò dipende dallo stato di avanzamento delle riforme. La Nato ha la “politica delle porte aperte” e ognuno può scegliere se aderire. Ma nel caso dell’Ucraina la questione non si pone, per ora. Prima deve finire questa guerra orribile. Ecco perché non smetteremo di supportarla nel suo diritto all’autodifesa e a esistere”.

C’è una preoccupazione crescente che anche le ex repubbliche sovietiche Moldavia e Georgia possano essere risucchiate dalla sfera d’influenza russa. Lei che ne pensa?

“Parte della strategia russa è quella di destabilizzare le società che si incamminano su un sentiero europeo. E adesso che mancano i successi militari in Ucraina su cui Putin puntava, non credo sia un caso che siano aumentati i tentativi russi di influenzare la Moldavia e la Georgia, che i loro governi vengano sabotati, se combattono la corruzione e se cercano di staccarsi dalla dipendenza russa. E’ il motivo per cui vado ora in Georgia e ho avviato la ‘Piattaforma per la Moldavia’. Con il popolo moldavo condividiamo i valori europei. Il loro desiderio di vivere in pace e libertà lo sosteniamo attraverso la prospettiva di adesione alla Ue”.

Sull’attesa nuova ‘Strategia sulla Cina’ sembra ci siano divergenze tra lei e il cancelliere Scholz...

“Stiamo riscrivendo la strategia sulla Cina in stretto coordinamento con tutti i ministeri, con la cancelleria e con molte imprese tedesche, grandi e medie. Non si può fare un decoupling da Pechino in un mondo globalizzato. Ma non possiamo più essere ingenui: la nostra società aperta è forte e vulnerabile allo stesso tempo. Le esperienze di molte aziende medie dimostrano che abbiamo bisogno di garanzie per una competizione equa, che abbiamo bisogno di fare in modo che il knowhow delle nostre imprese non venga saccheggiato dalla Cina per essere sfruttato sui nostri mercati contro di noi. La Cina è partner, concorrente ma anche rivale sistemico. Le grandi aziende quotate tendono a guardare ai ritorni sul breve termine sul mercato cinese. Ma noi come governo dobbiamo tutelare gli interessi economici e la sicurezza del paese. In concreto significa che non dobbiamo consentire che nelle nostre infrastrutture critiche finiscano prodotti con cui si spiano i nostri cittadini”.

Teme che le tensioni crescenti tra Stati Uniti e Cina possano sfociare in una nuova guerra fredda?

“Dalla fine della Guerra fredda il mondo è cambiato. Nuovo protagonisti si sono aggiunti. La Cina è diventata una delle maggiori nazioni industriali al mondo, che purtroppo si distacca sempre di più dalle regole internazionali. Ma anche grandi democrazie come l’India, il Brasile o la Nigeria hanno un ruolo importante. La lotta ai cambiamenti climatici, le pandemie o la crisi alimentare funzionano solo se lo facciamo insieme. Allo stesso tempo non possiamo ignorare il fatto che singoli protagonisti come la Cina e la Russia non condividano più le regole che hanno sempre tenuto insieme il mondo. Le democrazie sono oggi in un conflitto sistemico con le forze autocratiche”.

La strategia sulla Cina punta anche a contrastare l’influenza della Cina in Africa. Come?

“Noi europei abbiamo creduto per tanti anni a un mondo illusorio, in cui le preoccupazioni degli altri Paesi non ci toccavano. È stato un buco in cui la Cina si è infilata strategicamente per ampliare il suo potere creando dipendenze economiche. Ad esempio con la via della Seta. Non le abbiamo opposto un’alternativa. Nella concorrenza sistemica con la Cina l’Europa deve diventare più attiva, dal punto di vista geopolitico. Non possiamo impedire gli investimenti geostrategici della Cina, ma possiamo fare offerte migliori a quei Paesi: equi accordi commerciali, in cui non si sfruttino solo le materie prime ma in cui una parte della produzione nasca in questi Paesi, e dunque crescita e posti di lavoro. Noi, contrariamente alla Cina, non usiamo problemi di rimborso dei debiti per esercitare pressioni politiche sui debitori e manipolare un voto alle Nazioni Unite”.

Che fare con i paesi già iperindebitati con la Cina come alcuni Paesi balcanici o l’Ungheria?

“Dobbiamo fare proposte per consentirgli di liberarsi dalla dipendenza cinese. Ecco perché sono andata l’anno scorso, miratamente, nei Paesi che si sono resi indipendenti dalla Cina, per offrire sostegno, in Etiopia ad esempio ma anche in Europa. Ma bisogna anche essere sinceri. E ammettere che ci sono stati Paesi in Europa che durante la crisi finanziaria e la pandemia ci hanno chiesto aiuto invano. E i cinesi sono arrivati al posto nostro. L’Ungheria è un caso a sé. Lì dobbiamo stare attenti agli investimenti cinesi anche in riferimento al rispetto delle regole europee. E dobbiamo essere certi che se aiutiamo certi Paesi a liberarsi dalle dipendenze cinesi, che essi poi non facciano segretamente affari con chi pesta con i piedi la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani. Ecco perché parlo di questi temi in modo così esplicito”.

Lei ha annunciato una politica estera “femminista”. Che vuol dire?

“Raramente ho ricevuto così tanti feedback sulle proposte: critiche ma anche molti elogi. Sembra che il tema interessi molte persone. Ed è questo l’obiettivo. Arrivare finalmente al punto in cui l’ovvio diventa realtà. Che le donne abbiano pari diritti, pari accesso alle risorse e pari rappresentanza. Perché se si guarda al mondo, l’ovvio - come lo chiamano i critici della politica estera femminista - non è poi così ovvio. Altrimenti, non avremmo solo il 26% di donne tra i nostri ambasciatori. Altrimenti non avremmo ancora negoziati di pace in cui non siede al tavolo nemmeno una donna, anche se le donne sono spesso le prime vittime delle guerre”.

L’accordo nucleare con l’Iran rischia di fallire definitivamente. Teheran avrà presto la capacità di dotarsi di armi nucleari. Israele ha il diritto di difendersi militarmente se si sente minacciata dal programma nucleare iraniano?

“Secondo la Carta delle Nazioni Unite, ogni Paese del mondo ha il diritto all’autodifesa. Lo diciamo anche a proposito dell’Ucraina. E la sicurezza di Israele fa parte della ragion di Stato della Germania. Purtroppo, nell’ultimo anno il regime iraniano si è già fatto beffe dei colloqui sull’accordo nucleare. Allo stesso tempo, il diritto di autodifesa ha limiti stretti, soprattutto per quanto riguarda le misure preventive. Un’escalation militare in Medio Oriente è uno scenario orribile che dobbiamo scongiurare con ogni mezzo mezzi diplomatico a nostra disposizione. Insieme ai nostri partner internazionali, stiamo dicendo chiaramente all’Iran che deve fermare l’arricchimento dell’uranio”.

Quanto la preoccupa la riforma giudiziaria in Israele, che di fatto esautora la Corte Suprema? Non le ricorda la Polonia e la sua svolta autoritaria?

“Proprio in virtù dei nostri profondi legami e della nostra amicizia con Israele, ho espresso la nostra grande preoccupazione per la situazione in Israele e anche nei territori palestinesi durante la visita del mio omologo israeliano Eli Cohen. Da molto tempo non si vedevano così tanti morti e così tanta violenza come negli ultimi tre mesi. La forza democratica, l’indipendenza del sistema giudiziario sono sempre stati un fiore all’occhiello di Israele, soprattutto nella regione in cui il Paese si trova. E sono proprio questi valori a unire le nostre società”.

In Europa crescono i dubbi sull’affidabilità della Germania. Di recente è stata resa pubblica una lettera dell’ambasciatore tedesco dell’UE al governo, in cui avverte che le spaccature nel governo Scholz ostacolano le politiche europee e minano la credibilità di Berlino...

“L’UE è una grande ‘macchina del compromesso’. Su alcune questioni partiamo da punti di partenza diversi. Ma siamo anche uniti dalla consapevolezza che solo insieme possiamo dominare il futuro. Il peso della Germania in Europa si basa sulla nostra affidabilità e sulla fiducia che i nostri partner ripongono in noi. Da questo dipende la possibilità di realizzare i nostri interessi e le nostre idee in Europa. Non dobbiamo mettere a repentaglio questa fiducia in nessun caso, e noi come governo federale ne siamo più che consapevoli”.

Il Governo federale ha risposto all’ambasciatore?

“Io parlo sempre con il mio ambasciatore” (Ride).