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di Angela Nocioni

L’Unità, 7 febbraio 2024

“In infermeria non c’è niente, solo la terapia sedativa. Alla polizia abbiamo detto di chiamare il 118 ma loro si sono arrabbiati, hanno chiamato i colleghi”. Il cuore di Ousmane Sylla, il ragazzo di 22 anni che si è impiccato nella gabbia del Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria, batteva ancora domenica mattina all’alba quando i suoi compagni sono riusciti a tirarlo giù dalla grata. “Al ragazzo a terra hanno fatto il massaggio cardiaco. Dopo la polizia è arrivata e abbiamo chiesto di chiamare il 118 ma loro si sono arrabbiati e hanno chiamato solo colleghi. Gli ho sentito il cuore che batteva ancora”. Non c’erano medici. I soccorsi sono arrivati in ritardo, un’ora dopo l’allarme.

Queste le testimonianze di chi era lì, ha visto il ragazzo impiccato e ha sentito il suo cuore che ancora batteva. Le hanno raccolte gli attivisti della rete Mai più lager-No ai Cpr. Il cuore di Ousmane Sylla, il ragazzo di 22 anni che si è impiccato nella gabbia del Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria, batteva ancora domenica mattina all’alba quando i suoi compagni sono riusciti a tirarlo giù dalla grata. Non c’erano medici. I soccorsi sono arrivati in ritardo, un’ora dopo l’allarme.

Queste le testimonianze di chi era lì, ha visto il ragazzo impiccato e ha sentito il suo cuore che ancora batteva. Le hanno raccolte gli attivisti della rete Mai più lager-no ai Cpr. Tra i rinchiusi nelle gabbie di Ponte Galeria ieri circolava insistentemente la voce di imminenti trasferimenti: li sparpagliano.

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“Quasi alle 4 di mattina sento urla, pensavo fosse una persona che aveva mal di denti, ma ho sentito sempre più grida di paura e ho trovato una persona con la corda sopra al cancello e altre persone che urlavano che cercavano di prenderlo dalle gambe. uno è andato su per tagliare quella corda - un lenzuolo - ma non riusciva a tagliarlo. Ha detto “trova accendino e brucia con accendino”. Trovato l’accendino ha acceso e l’ha tirato e il lenzuolo si è strappato e il ragazzo è caduto”.

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“Al ragazzo a terra hanno fatto il massaggio cardiaco. Dopo la polizia è arrivata e abbiamo chiesto di chiamare il 118 ma loro si sono arrabbiati e hanno chiamato solo colleghi. Hanno chiamato l’infermiera ma lui aveva gli occhi chiusi ed era molle. Gli ho sentito il cuore che batteva ancora. L’infermiera diceva: portiamolo subito in infermeria”.

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L’infermiera gli ha misurato la pressione. Siamo stati 20 minuti, mezz’ora lì e non è arrivato il 118. Siamo andati a prendere le giacche e siamo tornati. Dopo altri 20-30 minuti è arrivato il 118, quindi dopo un’ora, alle 5 del mattino. L’operatore Orsi blu (intende forse l’Ors, il gestore? n.d.r.) ci ha chiesto chi fosse e dove dormisse ma noi non lo sapevamo. Abbiamo aperto le sue cose con tutti i vestiti suoi e io ho avuto paura. Hanno preso i vestiti e se li sono portati via e io li ho aiutati. La mattina dopo ci hanno detto che era morto. Una poliziotta piangeva. Tanta gente si è arrabbiata e dopo è cominciato il disastro”. ***

“Lui pigliava quella terapia lì, quella puntura e dormiva fuori. Non era così quando è arrivato (dal Cpr di Trapani n.d.r.). Un po’ era l’incendio, però è venuto qua, si è bruciato proprio il cervello, si è proprio fuso il cervello. (Chiesti chiarimenti, è stato detto che sarebbe arrivato da Trapani già molto intontito dalla terapia n.d.r.)”. ***

“Dormiva fuori lui. Dormi dentro, qualcuno si accorge quando lui ha fatto la corda. Perché lui dormiva proprio vicino dove c’è la corda, là, sotto quella tipo tenda là, come un balcone. Dormiva sotto, fuori nel cortile, nell’area dove c’è la gabbia, dove camminiamo la mattina, usciamo come le galline facciamo un giretto e torniamo la sera sempre dentro”.

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“Niente, se loro avessero fatto tutto presto, se ci fosse stata qualche guardia medica là, qualche strumento per rianimare le persone, lui sarebbe vivo. Perché quando lui stava a terra dicevano che il cuore batteva ancora, c’era speranza di rianimarlo e di farlo svegliare. Ma hanno aspettato tutto quel tempo lì, non c’erano attrezzi, non c’era quello che serve per fare il massaggio cardiaco (non c’era un defibrillatore? n.d.r.). Non c’è niente, per forza. Per arrivare in infermeria dove non c’è proprio niente: c’è solo la terapia quella lì, lyrica, rivotril, valium, mias talofen tutta quella roba lì. Se invece ci fosse qualcosa per rianimare una persona, per svegliarlo, non c’è niente”.

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Ousmane Sylla era stato portato nelle gabbie di Ponte Galeria, a Roma, dalle gabbie del Cpr di Milo, a Trapani, gabbie danneggiate dopo le proteste dei detenuti per essere stati stipati in 140 in pochi metri. I detenuti nei Cpr sono lì non perché accusati d’aver commesso un reato. Sono in detenzione amministrativa perché considerati illegalmente presenti sul territorio italiano. Il decreto Cutro, scritto dal governo Meloni, ha esteso il limite massimo di detenzione nei Cpr da 3 a 18 mesi. Se non fosse in vigore quella norma Ousmane Sylla sarebbe uscito di cella nel gennaio scorso per superamento del periodo massimo di detenzione amministrativa consentito. Raccontano quelli che l’hanno visto in questi giorni nella gabbia di Ponte Galeria che era intontito e che hanno continuato a riempirlo di sedativi. Prescritti da chi? Le tabelle ministeriali prevedono nei Cpr la presenza di medici per solo 2, 3 ore al giorno. Una follia. In ogni caso di solito neanche quelle due ore di presenza medica sono garantite, chi sta dentro racconta che i medici sono presenti per molto meno tempo. Testimoni confermano che “quando Ousmane è morto non c’erano medici. I soccorsi sono arrivati in ritardo. Il suo cuore ancora batteva quando è stato tirato giù”.

Dicono gli attivisti di No ai Cpr: “La morte di Ousmane non è una tragica fatalità, è uno dei tanti omicidi di Stato messi in conto come possibile conseguenza di un sistema di tortura legalizzata, come una piccola sbavatura. Una morte annunciata della quale siamo tutti responsabili. Finché non verranno chiusi tutti i Cpr e i luoghi di detenzione amministrativa”. Hanno ragione.