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di Antonio Mattone

Il Mattino, 3 ottobre 2023

“Water, water!”, urla un gruppo di migranti accalcati sul molo Favarolo, agitando delle bottiglie di plastica sudicie e vuote. Sono in attesa di essere trasferiti nell’hotspot dell’isola ma, disidratati ed assetati, elemosinano qualche sorso d’acqua a chi passa in auto sulla strada che dalla spiaggia della Guitgia conduce al porto. Una scena che ha colpito un giovane lampedusano di 18 anni e lo ha indotto a buttare giù un toccante post.

“Lascio questa isola dopo i fatti di ieri e oggi e, senza troppa retorica, mi sento in colpa, scrive Federico su Facebook. Avrei voluto fare qualcosa, trovare delle risposte, ma va oltre le mie capacità e le mie competenze”. Sta per diventare anche lui un migrante. Deve lasciare Lampedusa per continuare gli studi. Si trasferirà a Genova dove andrà alla facoltà di Scienze diplomatiche. Mi spiega che si sente in colpa perché va via proprio nel momento in cui l’isola sta vivendo il momento più difficile degli ultimi anni.

Si stava dando da fare assieme ad altri amici per aiutare i “salvati”, coloro che hanno perso tutto, a cui sono rimasti solo i vestiti infradiciati dal mare e impregnati di nafta. Immagini che hanno coinvolto emotivamente tanti lampedusani e che hanno fatto scattare una grande gara di solidarietà. C’è chi porta un po’ di spesa, chi un paio di scarpe. Altri hanno messo su una raccolta di abiti usati, fino al pompiere che ha invitato a casa sua una famiglia di naufraghi e gli ha offerto un bel piatto di spaghetti.

Tuttavia la morte di una bimba di 5 mesi lo ha profondamente turbato. “Non si può morire così piccoli, non si può annegare mentre si è tra le braccia di una madre! Siamo stati abbandonati dall’Italia e dall’Europa - mi dice con un senso di amarezza. Qui ci sono soltanto i lampedusani”. Sull’isola non manca solo l’università. Non c’è una Tac, né un reparto di ostetricia. Il benessere generato dal turismo e il lavoro che si concentra solo in alcuni mesi dell’anno, hanno invogliato a fare figli. Tuttavia, nonostante il grande tasso di natalità, sono pochi i bambini che nascono a Lampedusa. Le donne sono costrette a partorire a Palermo o ad Agrigento.

La mancanza di servizi essenziali resta una grande ferita.

Sono trascorsi 10 anni dal tragico naufragio del 3 ottobre 2013, dove al largo dell’isola morirono 368 migranti. Una tragedia inaccettabile da cui prese il via l’operazione Mare Nostrum. Cosa è cambiato da allora? Ben poco. L’hotspot di contrada Imbriacola è diventato un fortino inaccessibile e attorno ad esso è cresciuta la presenza di forze dell’ordine.

Di solito i migranti non si vedono, sono come fantasmi chiusi all’interno della struttura di accoglienza. Solo la massiccia ondata di arrivi di questi giorni, dove la presenza di migranti ha superato la popolazione residente, li ha resi visibili, facendo tornare alla mente agli abitanti i periodi in cui bussavano liberamente alle porte delle case in cerca di cibo e aiuto.

Ogni tanto qualche segno di un probabile naufragio, come i relitti di imbarcazioni arenate, si poteva scorgere lungo le coste dell’isola. Una volta il padre di Federico trovò i resti di un passaporto corroso dalla salsedine e mangiucchiato dai pesci. Si dice che alcuni pescatori abbiano trovato nelle reti resti umani, e li abbiano ributtati a mare per l’orrore.

Se prima il silenzio alimentava qualche speranza, oggi no, sembra tutto chiaro.

Il ragazzo è un fiume in piena. “Dicono che dò sempre colpa all’amministrazione, ma oggi vedendo il sindaco Filippo Mannino lì al molo Favaloro a cercare di intervenire in questa situazione emergenziale mi sono sentito rappresentato da una istituzione dopo tanto tempo, e ne sono grato”.

Si perché in questi giorni a Lampedusa si è un po’ ricreato quel senso di umanità e di unità che fa rinascere la speranza.

“Vorrei tornare dopo gli studi con l’auspicio di ritrovare una politica europea solidale”, mi dice Federico. E con il sogno di diventare un diplomatico, porta con sé il ricordo di quei volti scarniti che sul molo Favarolo imploravano qualche goccia d’acqua.