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di Giusi Fasano

Corriere della Sera, 10 agosto 2023

I racconti dei superstiti. Il procuratore di Agrigento Salvatore Vella: “Criminale farli partire, queste barche di metallo si ribaltano subito in mare. Sono delle bare galleggianti”. “E poi è arrivata quell’onda”. Il racconto si inceppa, ci sono parole che non trovano la via per uscire. La ragazza, soprattutto. Non riesce ad andare avanti. Chi ha raccolto il suo racconto dice che era terrorizzata, come se il muro d’acqua fosse ancora lì, davanti a lei. Apnea. Ci vuole un po’ prima che torni il respiro. Il passaggio successivo si può riassumere così: “La barca si è rovesciata e siamo finiti tutti in mare. Qualcuno di noi aveva delle camere d’aria che abbiamo usato come salvagenti per rimanere a galla, ma non tutti quelli che ce l’avevano si sono salvati. Il mare ci ha disperso, ho visto gli altri sempre più lontani sparire fra i flutti, grandi e bambini. Siamo stati in acqua per qualche ora. A un certo punto un gruppetto di noi ha visto una barca in lontananza. Ci siamo affannati per raggiungerla ma ci siamo arrivati solo noi quattro”.

Gli altri tre-quattro (il numero non è chiaro), che hanno cercato disperatamente di arrivare a quella barca, sono stati trascinati via dalla corrente. A poche bracciate dalla salvezza, secondo i compagni di sventura che oggi raccontano di loro. Una barchetta di ferro alla deriva in mezzo al mare. E quattro naufraghi ragazzini - anni dichiarati: fra i 13 e i 18 - che finiscono sulla sua stessa rotta. Che riescono a salire a bordo senza farla ribaltare. Che vagano alla deriva per cinque giorni finché un aereo di Frontex li intercetta, una nave battente bandiera maltese li salva e la nostra Guardia Costiera li porta a Lampedusa, la loro Terra promessa. “È una storia che ha dell’incredibile” commenta da Agrigento il procuratore capo facente funzione Salvatore Vella.

Tanto incredibile che sulle prime è sembrata perfino inverosimile, ma “allo stato non abbiamo motivo di dubitare del loro racconto”, dice. “Loro sono dei miracolati ma non lo sono chissà quante centinaia di persone morte in questa ultima finestra di maltempo. Dev’essere stata un’ecatombe. È criminale averli lasciati partire”. Il procuratore se la prende con i trafficanti tunisini: “Nei loro cantieri artigianali costruiscono a Sfax questi barchini, tutti uguali, che sono bare galleggianti. E li mandano verso Lampedusa carichi di migranti. Tutti di ferro, 6-7 metri di lunghezza, ci salgono dalle 40 alle 70 persone. Affondano appena arrivano in mare aperto, dopo le isole Kerkennah che fanno da barriera alle correnti. Ripeto: è stato criminale farli partire con il maltempo perché chi li mette in acqua e li lascia andare lo sa che vanno a picco”.

Sulle spiagge tunisine di Sfax si affollano ogni giorno a migliaia, pronti a lasciare un Paese che non vede l’ora di cacciarli per arrivare (quando ci arrivano) in un altro che non li vuole. C’erano anche i nostri quattro naufraghi di ieri: una ragazza che dice di avere 17 anni, un suo coetaneo, un ragazzino più piccolo e un diciottenne. Arrivano dalla Guinea e dalla Costa D’avorio. Agli operatori della Croce rossa che li hanno assistiti sono sembrati sfiniti, traumatizzati, ma tutto sommato in condizioni fisiche non preoccupanti. Soltanto lei, la ragazza, ha ustioni (non gravi) sul viso causate dalla lunga esposizione al sole. Nessuno di loro ha ancora raccontato del viaggio via terra per arrivare a Sfax. Le storie della loro vite, nei verbali, partono dalla spiaggia di Sfax, da qualcuno che ha messo fra le loro mani la camera d’aria di uno pneumatico come salvagente e li ha fatti salire sulla carretta a motore affondata sei ore dopo.

“Abbiamo pagato il ticket e siamo saliti a bordo”, hanno raccontato. Il ticket, biglietto per lo spettacolo osceno del rischio della vita. “Eravamo in 45 e c’erano anche tre bambini. Abbiamo navigato per un po’ di ore ma poi è arrivata quell’onda violenta...”. Gli operatori di Frontex li hanno fotografati nel barchino senza motore che la sorte ha piazzato sulla loro rotta. Braccia tese verso l’alto e il “salvagente” sventolato come bandiera: “Siamo qui. Siamo ancora qui, malgrado tutto”.