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di Laura Aldorisio

Corriere della Sera, 8 novembre 2023

L’iniziativa di due ex carcerati nella struttura milanese. Ora è un network di qualità che dà lavoro in istituti di tutta Italia. “I nostri clienti per le videoproduzioni sono le aziende”. “Atacama è il luogo più inospitale della terra, ma è anche il luogo al mondo dove si vedono meglio le stelle”. Questa è la frase d’apertura, il biglietto da visita del sito di Atacama, la startup che realizza video corporate, e non solo, nata all’interno del carcere di Bollate. Un’avventura imprenditoriale che ha saputo ampliare l’orizzonte di molti detenuti. “Per noi che viviamo in una condizione di semilibertà poter dare forma a un’idea è come vedere crescere un fiore ad Atacama, il deserto che si estende dal Perù al Cile”, racconta uno dei due fondatori, Matteo Gorelli. “Ha una particolarità: lì nascono persino alcuni fiori, ma muoiono in fretta. Ecco, questo è il nostro rischio, tentare di fare qualcosa di buono che poi subito marcisce; l’unica possibilità è vedere crescere una novità già in carcere”.

Proprio tra i detenuti di Bollate, Gorelli incontra Fernando Gomes Da Silva e per esperienze precedenti, ma anche per un presentito talento, immaginano di poter produrre video di alta qualità per le aziende. Entrano in contatto con Andrea Rangone, fondatore e presidente di Digital360, e accade l’imprevisto che cambia il corso delle storie personali: Rangone sceglie di sostenere il progetto, partendo dal presupposto che il lavoro è lo strumento più potente contro la recidiva. Chi non lavora nel 70% dei casi commette nuovamente un reato, mentre solo il 2% tra chi ha avuto un’occupazione durante la pena ricade nell’illegalità.

Atacama oggi è una cooperativa sociale, supportata da Sesta Opera San Fedele, associazione di volontariato penitenziario, e punta a costituire un team di professionisti composto da detenuti ed ex detenuti, formato con le competenze richieste dal mercato per produzioni video. Ora Matteo e Fernando sono in regime di semilibertà, tornano ogni sera in carcere, ma hanno creato un tale network che se si presenta un cliente dalla Sicilia, alcuni detenuti siciliani con competenze adeguate possono dare loro un supporto, coordinati da remoto da Matteo, Fernando e Jessa, che si è aggiunto al primo duo.

“Lavorare ti cambia la vita perché inizi a determinare te stesso, mentre prima era il carcere che ti determinava. Oggi fare impresa significa essere liberi, il nostro immaginario è libero ed è un paradigma nuovo”. Ma oltre che una nuova strada per sé, Matteo racconta che molti ragazzi detenuti si rivolgono a loro chiedendo di lavorare assieme o di aprire loro nuovi scorci: “Siamo riusciti a inserire indirettamente molte persone grazie a dei network”. I ragazzi possono anche contare sul mentoring “fondamentale come credibilità e come ordine perché il confronto con persone di grande esperienza ci aiuta a incentivare la nostra”. E così i clienti, anche di grandissima statura, aumentano. “Ci chiedono podcast, post produzione, videocorporate, ma soprattutto docufilm. Io ho scoperto lo stabilirsi di un talento e frequentare i propri talenti fa stare bene tutti”.