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di Elisabetta Andreis

Corriere della Sera, 27 aprile 2024

Moltiplicati gli arrivi ai pronto soccorso. Sovraffollamento nelle celle, i giovani con patologie protagonisti di gesti autolesivi. I neuropsichiatri: “Tutti i minori hanno diritto di essere curati in modo adeguato con una diagnosi precoce”. C’è chi si taglia le braccia, chi si appende con un lenzuolo alle grate e “prova” a uccidersi per attirare l’attenzione, chi urla oppure è violento e non riesce a contenersi, chi chiede ossessivamente psicofarmaci per dormire.

Al Beccaria l’ultimo drammatico tentativo di suicidio è recentissimo e la notizia, a maggior ragione se letta alla luce dei fatti di cronaca, aumenta l’inquietudine. I comportamenti autolesivi, non infrequenti, potrebbero infatti essere esacerbati dalle condizioni di vita con eventuali maltrattamenti nell’istituto. Ma c’è anche l’altra faccia della verità, ed è la seguente.

Sempre più spesso, vengono collocati nell’istituto giovani che già in partenza hanno un forte disagio psichiatrico, magari connesso ai viaggi terribili dalle nazioni d’origine o all’abuso di sostanze come lo Spice e di farmaci come il Fentanil.

Le celle, che dovrebbero essere da due, si riempiono oltremisura (oggi al Beccaria ci sono 82 ospiti, a fronte di una capienza di 52 posti) e il carcere diventa un “ricettacolo” di adolescenti multiproblematici anche a prescindere dal reato commesso. Non soltanto dunque la sfera penale, ma quella esistenziale nella sua complicata interezza. La denuncia che arriva dalle unità territoriali di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza è un lungo grido d’allarme: mancano posti letto dedicati nei reparti ospedalieri, manca il personale qualificato, mancano i centri diurni e mancano le comunità socio educative ad alta intensità terapeutica disponibili ad accogliere casi molto complessi.

Il capo del Dipartimento per la giustizia minorile Antonio Sangermano, che ha incontrato in Procura i titolari dell’inchiesta per cui sono stati indagati 25 agenti di polizia penitenziaria del Beccaria (su 50 totali), ha annunciato che a Milano apriranno tre nuove comunità, ciascuna con 12-15 posti letto. È qualcosa, certo, ma non abbastanza.

“Negli ultimi tre anni in Lombardia gli adolescenti arrivati in pronto soccorso per disturbi psichiatrici acuti e complessi sono aumentati otto volte - dice Federico Raviglione, primario di Neuropsichiatria all’Asst Rhodense e coordinatore regionale primari di Neuropsichiatria -. Su 12 minori accettati in dipartimento di emergenza-urgenza, molti hanno ricevuto risposte parziali e inadeguate o sono stati rimandati a casa. Solo uno o due sono stati ricoverati in un reparto adatto e dedicato ai minori”. Gli specialisti descrivono un sistema “completamente saturo di richieste in ospedale e carente in modo grave sul territorio”. La Lombardia conta 112 posti letto nei reparti di degenza (Besta, Asst Santi Paolo e Carlo a Milano, Mondino di Pavia, Asst dei Sette laghi e Varese, Monza e Civile di Brescia) “ma sono un terzo o persino la metà di quelli che servirebbero”.

Elisa Fazzi, presidente della Sinpia, la società italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza, sottolinea che il ricovero ospedaliero, “spesso necessario per affrontare l’emergenza, approfondire aspetti diagnostici e impostare una terapia, è solo una parte del percorso che deve realizzarsi poi negli ambienti di vita dei ragazzi”, siano essi le comunità o la famiglia. D’altro canto i tempi di diagnosi e l’eventuale trasferimento ai luoghi di cura sono lunghissimi. “Tutti i minori hanno diritto di essere curati in modo adeguato con una diagnosi precoce e una forte presa in carico del territorio, anche le unità diffuse devono essere potenziate - sostiene Antonella Costantino, direttrice della Uonpia del Policlinico -. Qui gestiamo un progetto di intervento intensivo che previene ricovero, pronto soccorso e residenzialità ma stiamo seguendo 54 adolescenti quando saremmo invece attrezzati per 34”.