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di Marianna Vazzana

Il Giorno, 8 marzo 2022

Allarme violenza giovanile, in carcere non c’è più posto. Fabrizio Rinaldi, neo direttore: “Incentiviamo il ponte tra dentro e fuori”. Rapine in strada, anche in pieno giorno. Vittime picchiate oppure costrette sotto minaccia a prelevare al bancomat.

Età media che si abbassa: basti dire che della “Z4”, la baby gang di Calvairate e Corvetto smantellata dai carabinieri la settimana scorsa facevano parte due dodicenni (non imputabili), tra cui una ragazzina che ha compiuto gli anni meno di tre mesi fa.

Un tema caldo, quello della violenza giovanile. E l’Istituto penale per i minorenni Cesare Beccaria è al completo, con 38 ragazzi detenuti, di cui il più giovane ha 15 anni. Come intervenire? Come arginare questa esplosione di rabbia? Ne parliamo con Fabrizio Rinaldi, che da un mese dirige la struttura minorile. Cinquantaquattro anni, di origine partenopea, ha raccolto la sfida continuando a guidare anche la Casa circondariale di Como. Una missione iniziata 25 anni fa con la vicedirezione del carcere di San Vittore.

È la prima volta che dirige un istituto penale per minori? Quale aspetto l’ha colpita di più, al suo arrivo?

“Sì, è la prima volta. Io ho pensato che fosse un’esperienza da fare, per arricchire me e soprattutto aiutare i ragazzi. Ho trovato un’ottima organizzazione e apprezzo in particolare la collaborazione tra operatori penitenziari, enti locali e realtà del privato sociale, tutti impegnati per il recupero dei ragazzi. L’impegno che ci vuole, per aiutare un giovane, è maggiore rispetto a quello che richiede un adulto. Noi ci occupiamo di creare percorsi personalizzati, e penso che la priorità ora sia incentivare il “ponte”, che già esiste, tra dentro e fuori dal carcere”.

Che cosa la preoccupa di più?

“L’incremento dei nuovi ingressi. A febbraio sono entrati 9 nuovi ragazzi (6 nello stesso periodo dello scorso anno) e sarebbero stati di più, se ci fosse stato il posto. Adesso abbiamo 38 giovani (30 nel 2021), in una struttura che ha capienza massima di 36. Una capienza ridotta perché c’è un’ala in fase di ristrutturazione da oltre 10 anni (i lavori dovrebbero concludersi entro l’anno) ma anche per le regole anti Covid che hanno ulteriormente limitato gli spazi. Le aree prima utilizzate per ospitare gli arrestati in flagranza ora servono per l’isolamento prima dell’ingresso nel gruppo e nel caso di positività, quindi i ragazzi che non possiamo accogliere vengono mandati in altre strutture. I contagi hanno reso più difficile l’organizzazione: abbiamo avuto 8 casi positivi in contemporanea, che sono stati isolati. Ora l’allarme è rientrato. Con il Dipartimento e il Centro per la Giustizia minorile ci si sta impegnando fortemente per assicurare la migliore accoglienza possibile, anche ricavando nuovi spazi”.

Nelle baby gang ci sono partecipanti sempre più giovani. In certi casi, si è notato sui social, bambini tengono pistole in pugno. Come inquadra il fenomeno?

“Attualmente bambini e ragazzi tendono a bruciare le tappe in tutto. Non mi meraviglio che anche nel delinquere si anticipino i tempi. Non bisogna dimenticare l’impatto dei lockdown: per tutti, ma soprattutto per i giovanissimi, è stato molto pesante e traumatico dover stare a casa per tanto tempo”.

E com’è il primo impatto con il carcere, per i nuovi arrivati?

“Molto traumatico. Noi cerchiamo di attenuarlo, con educatori e psicologi. Perdere d’un tratto la libertà, le proprie abitudini, non poter più utilizzare internet, per un adolescente è un grosso problema. In più va incontro a una “doppia reclusione” perché all’ingresso è obbligatorio un periodo di isolamento anti Covid. Anche in carcere si creano dinamiche di gruppo ma c’è più controllo e ognuno impara a essere “responsabile per sé”.

Quali sono i principali reati per cui i ragazzi vengono accompagnati in carcere?

“Oggi come l’anno scorso, quelli contro il patrimonio (come le rapine) e a seguire contro la persona (come le lesioni)”.

In cosa consiste il recupero?

“L’obiettivo è la responsabilizzazione. Far scattare una presa di coscienza. Non c’è una ricetta. Tendenzialmente, di giorno si segue l’attività scolastica e, poi, laboratori: panificazione, falegnameria, attività culturali e di svago come calcio, palestra (spazio donato dalla Fondazione Francesca Rava), teatro, grazie alla compagnia Puntozero. Cerchiamo di educare alla bellezza facendo scoprire nuove possibilità di espressione”.

Ha in mente altri progetti?

“Certamente, nei nuovi spazi restaurati, ci sarà modo di incrementare le aree di socialità e di pensare ad altre attività. Fondamentale è mantenere il rapporto con l’esterno, sviluppare possibilità di crescita e di lavoro, in modo che una volta fuori si possa davvero sperimentare il cambiamento”.