sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giovanni Seu

mitomorrow.it, 16 ottobre 2024

Pochi giorni fa si è suicidato il 75° detenuto dall’inizio dell’anno. È avvenuto proprio a San Vittore, il carcere più sovraffollato d’Italia, ma c’è chi non demorde e prova a dare un po’ di sollievo. Bisogna partire dai numeri che rivelano bene tutta la drammaticità della situazione nelle carceri in Italia. Venerdì scorso un detenuto di 44 anni di origini pugliesi in carcere per reati correlati agli stupefacenti, con fine pena provvisorio fissato al 2027 si è suicidato in una cella di San Vittore. “Si tratta del 75° recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno in Italia, in una strage continua”, ha affermato Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa, il sindacato della Polizia Penitenziaria.

Il Ministero della Giustizia offre questi numeri che parlano da soli. La Casa circondariale Francesco Di Cataldo, questa è la denominazione burocratica, dispone di 700 posti regolamentari, 253 non disponibili mentre i detenuti sono 1.018. Questi ultimi sono ospitati in 492 stanze, altre 197 non sono disponibili. Anche le date sono importanti: la costruzione del complesso inizia nel maggio del 1872, mentre viene inaugurato il 24 giugno 1879 durante il Regno d’Italia da Umberto I. Negli anni è stato ammodernato ma ciò non toglie che la struttura abbia raggiunto 145 anni.

Secondo il sindacato Uilpa la situazione sarebbe ancora peggiore di quella che emerge analizzando i dati del Ministero: a San Vittore sono stipati 1.022 detenuti a fronte di 447 posti disponibili con un sovraffollamento di oltre il 229%, sorvegliati da 580 appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, distribuiti su più turni e comprendendo gli addetti agli uffici e ai servizi vari, rispetto a un fabbisogno di almeno 700, con un deficit del 17%. Secondo il sindacato “è di ogni evidenza che un qualsiasi apparato articolato non possa reggere in tali condizioni e non possa propriamente dirsi neppure organizzato”.

Il dibattito sul chiudere e trasferire altrove San Vittore è vecchio, l’ultimo sussulto si è avuto nel 2021 nel corso della campagna elettorale quando Luca Bernardo, candidato del centrodestra, propose di trasformarlo in sede culturale come la Biblioteca europea. Opposto il parere dei radicali, allora presenti in giunta con Lipparini, che sostengono la centralità - anche geografica - delle carceri nelle città per evitare di escludere i reclusi dalla vita sociale: San Vittore si può ampliare e riqualificare. Quale che sia il parere è evidente che il tema è sempre più urgente.

Nel frattempo, però, a San Vittore, come nelle altre case di reclusione del milanese, Opera e Bollate, e Beccaria (il carcere minorile), si cerca di portare avanti progetti di reinserimento lavorativo o volti a portare un po’ di luce di speranza tra le sbarre. Ed è per questo che abbiamo voluto fortemente dividere in due questo speciale, evidenziato sì le enormi criticità, ma anche le tante iniziative possibili grazie alla collaborazione con le associazioni del terzo settore. Abbiamo selezionato “10 cose buone”.

Nahum: “Chiudere non è la soluzione, subito politiche per sfoltire il carcere”

La situazione è critica, ma bisogna insistere su San Vittore. È la posizione di Daniele Nahum, presidente della Sottocommisione Carceri di Palazzo Marino.

Qual è il livello di vivibilità nel carcere?

“È quello determinato dal sovraffollamento che arriva al 236,70% in una struttura dove vivono 1.080 detenuti di cui 80 donne”.

Perché si è creato questo fenomeno?

“Ogni giorno ci sono 10-15 accessi, sono ben 300 al mese non compensati dalle persone che escono”.

Chi entra a San Vittore?

“Ben 750 hanno problemi di tossicodipendenza, sono in cura al Sert: questo è il primo grande problema, arrivano persone devastate che, nonostante lo straordinario lavoro del personale medico, è difficile assistere”.

Altri problemi?

“A differenza di altre carceri del sud qui l’80% dei detenuti è di origine straniera, in particolare del nord Africa, sono persone arrestare per furti, rapine, spaccio che parlano poco o niente l’italiano e si trovano soli una volta scarcerati”.

Manca il recupero dopo la detenzione?

“Lo dicono i dati, in Italia la recidiva arriva al 67%. Purtroppo mancano comunità di recupero che li accompagnino a ritornare nella vita civile”.

Perché San Vittore non riesce a svolgere opera di recupero?

“Un detenuto su due non studia e non lavora: è dimostrato che la via per il recupero è frequentare i corsi, imparare un lavoro. Poi c’è il fatto che si tratta di una casa circondariale, entrano persone in attesa di giudizio che dopo poco vanno via”.

Chiudere sarebbe la soluzione?

“Non credo. È facilmente raggiungibile, a differenza di Opera e Bollate, inoltre trovo sbagliato allontanare dai nostri occhi questa realtà”.

Con una popolazione adeguata agli spazi San Vittore potrebbe funzionare?

“Premesso che un numero di presenze congruo non c’è mai stato, voglio citare ciò che mi ha detto il direttore: il loro momento migliore è stato durante il covid perché erano costretti ad avere gli spazi adeguati”.

Quale può essere un provvedimento immediato?

“L’amnistia e l’indulto sono necessari. Non è facile, il 20-30% dei detenuti ha un residuo di pena di 1-3 anni ma non vengono scarcerati perché sono senza domicilio, non saprebbero dove andare”

Insomma il problema del dopo è pesante quando quello dell’internamento.

“Il carcere porta a deresponsabilizzarti, come fai a collocarti quando esci?”.

Quale ruolo può avere il Comune?

“Non ha poteri, c’è la sottocommissione che presiedo che non si limita a svolgere opere di denuncia ma sostiene iniziative come il protocollo sottoscritto dagli assessori Bertolè e Cappello con il Tribunale dei minori per assegnare lavori di pubblica utilità a sette minori”.

Cos’altro potrebbero fare gli enti locali?

“Sarebbe importante l’impegno della Regione sul fronte terapeutico, è una loro competenza”.

Quando il teatro è il mezzo perfetto, di Ivan Filannino

Da anni nel carcere di Opera si porta avanti il progetto Opera Liquida. Non serve un palcoscenico per fare teatro e soprattutto il teatro ha un’altra dote unica: è in grado di scavalcare i muri e le barriere fino ad entrare in luoghi impensabili, ad esempio in un carcere. In questo senso arriva l’impegno di Opera Liquida che dal dicembre 2008 ha portato le sue attività all’interno della Casa di Reclusione di Milano Opera. Un luogo che non deve essere considerato estraneo alla città, ma riconosciuto a tutti gli effetti come parte della metropoli. Era un periodo diverso da quello odierno, le attività all’interno delle carceri erano davvero poche, così un progetto nato come piccolo laboratorio teatrale che si sarebbe dovuto chiudere con la prima messa in scena è diventato anno dopo anno sempre più protagonista all’interno della casa di reclusione.

A dar vita all’iniziativa è stata Ivana Trettel, fondatrice, regista e drammaturga di Opera Liquida, quella che è diventata la compagnia teatrale della Casa di Reclusione Milano Opera, sezione media sicurezza. “A spingermi ad andare avanti è stata la passione che ho trovato nelle persone detenute che ho incontrato, alcune di loro ancora collaborano con noi”.

Questo perché Opera Liquida ha l’importante caratteristica di poter unire persone detenute ed ex detenute; una volta entrati in questa realtà è difficile abbandonarla del tutto e c’è anche chi ha scelto di rimanerci in pianta stabile una volta uscito dal carcere. A formare lo zoccolo duro al fianco di Ivana ci sono Vittorio Mantovani, attore ex detenuto, e Nicoletta Prevost che si occupa della comunicazione e organizzazione, ma il gruppo si allarga con i formatori e i docenti. Non si può ovviamente dimenticare, nell’elenco dei collaboratori, la Casa di Reclusione Milano Opera perché tutto ciò che viene realizzato prevede procedure organizzative complesse. Le attività vengono proposte con annunci all’interno della sezione, le persone detenute fanno la richiesta di partecipazione, l’istituto decide chi è idoneo a partecipare e infine si passa al colloquio con Ivana Trettel. L’obiettivo dichiarato è quello di mettere in scena spettacoli originali su temi di rilevanza sociale.

Da elemento anomalo all’interno di un’istituzione molto rigida, Opera Liquida ha conquistato la fiducia con grande discrezione e rigore ed è ora una realtà stabile all’interno del carcere. “Uno dei momenti più straordinari è il post spettacolo quando viene concesso un breve incontro coi parenti. Momenti di vitalità, orgoglio e gioia”. Tra i suoi progetti di Opera Liquida c’è anche Stai all’occhio, per la prevenzione dei comportamenti a rischio nei giovani che porta nelle scuole come tutor persone detenute ed ex detenuti.

Un giardino per sperare. Nuovo spazio verde all’Istituto Beccaria, di Edoardo Colzani

Nel carcere minorile Cesare Beccaria è nato un nuovo spazio comune, il giardino interno. Un luogo creato nell’ambito del progetto Palla al centro promosso da Fondazione Francesca Rava e supportato da Fondazione Covivio, con l’obiettivo di promuovere percorsi di rinascita per i giovani detenuti. “Bisogna essere portartici della bellezza come valore educante. Crediamo inoltre nel ruolo fondamentale del lavoro di squadra e dell’importanza di ogni singola persona”, dichiara Mariavittoria Rava.

“Noi come Fondazione, collaboriamo da 4 anni con il carcere Beccaria, e all’interno dell’istituto ci occupiamo di formare i ragazzi per un loro reinserimento futuro. Abbiamo svolto e proseguiremo a svolgere corsi di informatica, di pronto soccorso e di sport. Sono attività che come abbiamo riscontrato, portano alla diminuzione delle recidive di chi ha scontato la pena”. Giovanna Ruda di Fondazione Covivio aggiunge: “Siamo stati partecipi alla riqualifica del giardino, grazie anche al nostro know-how. Per i lavori sono stati coinvolti 5 ragazzi dell’istituto, ed è stato svolto un corso di giardinaggio della durata di 40 ore”.

All’inaugurazione di ieri era presente anche l’assessore al Welfare del Comune di Milano Lamberto Bertolè: “L’istituto Beccaria è l’unica struttura carceraria in Italia ad avere un presidio educativo permanente. Dobbiamo investire sulle misure di pena alternative al carcere. I fatti recenti del carcere sono stati dovuti all’assenza di un direttore, e alla carenza nel mondo delle carceri di educatori ministeriali”. E infine, Alessia Villa, presidente della commissione carceri della Lombardia conclude: “Non bisogna considerare la pena come un tempo vuoto”.

Le altre 8 cose buone, di Serena Scandolo

A fine settembre a San Vittore è stato inaugurato ReverseLab, uno spazio per l’arte contemporanea tra carcere e città, con la mostra Gli artisti sono quelli che fanno casino. Frammenti dal carcere di San Vittore.

Nel carcere di Bollate si legge carteBollate, il giornale scritto, pensato e finanziato dai detenuti, un periodico bimestrale di informazione dal carcere e sul carcere.

Il CSI è alla ricerca di squadre di calcio a 7 Open C per disputare il campionato invernale in uno dei due gironi speciali nel quale saranno inserite anche le squadre delle carceri di San Vittore e di Monza.

Da anni esiste la Biblioteca del Confine della Casa della Carità, che nell’ambito di “Biblioteche in rete a San Vittore” promuove progetti che mettono in relazione persone che vivono dentro e fuori dal carcere.

Cascina Bollate, una cooperativa sociale dove lavorano giardinieri liberi insieme a giardinieri detenuti, che imparano un mestiere e si impegnano in una produzione di qualità.

A suon di musica c’è Orchestra in Opera, un ensemble interamente formato da detenuti del Carcere di Opera: nasce dal laboratorio musicale che coinvolge un gruppo di detenuti selezionati sulla base delle loro esperienze musicali.

Catena in movimento è un’associazione fondata all’interno del carcere di Bollate, che si occupa di sartoria per la produzione di gadget aziendali, lavori conto terzi e prodotti da vendere durante eventi milanesi.

Nel carcere di Opera è stata inaugurata la scuola edile, un laboratorio attrezzato aperto anche ai ragazzi del Beccaria, dove i detenuti imparano il mestiere di manovale.