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di Sandro De Riccardis

La Repubblica, 1 febbraio 2023

Lo scorso giugno gli avvocati avevano chiesto il differimento della pena per la gravità delle sue condizioni di salute. Richiesta accolta solo venerdì scorso. Trentaquattro anni in carcere, ventidue al 41 bis, dietro le sbarre ininterrottamente dal 1990. Fino a un aggravamento delle sue condizioni di salute che hanno portato i suoi legali a chiedere un differimento pena nel giugno dello scorso anno, concesso solo venerdì scorso.

Due giorni dopo, Giuseppe Gallico, 66 anni, è morto al San Paolo, quando il detenuto non rispondeva più ai trattamenti medici. Boss ai vertici dell’omonima cosca di ‘ndrangheta di Palmi, Gallico è stato condannato a svariati ergastoli per associazione di stampo mafioso, omicidio, estorsioni, armi e altri reati. Per i suoi avvocati, Guido Contestabile e Antonio Cristallo, “è stato lasciato morire in carcere, anche quando le sue condizioni erano disperate”. Una storia che s’intreccia al dibattito sull’abolizione del carcere duro, l’ergastolo ostativo, la dissociazione dei boss.

Per Gallico una prima richiesta è depositata il 30 giugno 2022. Dopo un infarto, ad aprile gli viene diagnosticata una fibrosi polmonare idiopatica, “che comporta un progressivo declino della funzionalità polmonare”. Nell’istanza i legali chiedono il rinvio dell’esecuzione della pena, una richiesta rigettata il 25 luglio dal magistrato di sorveglianza, che non riscontra l’urgenza del trasferimento, facendo propria la relazione sanitaria del carcere di Opera. Un documento che parla di “cardiopatia ischemica cronica e fibrosi polmonare idiopatica, malattia rara a carattere progressivo, con sviluppo di insufficienza respiratoria”, per la quale vengono chiesti altri esami al San Paolo. La stessa relazione parlava di “paziente a rischio di eventi anche fatali”. Di ostacolo al diniego anche il parere negativo della Dia di Reggio Calabria, vista la “pericolosità” di Gallico, e “l’attuale operatività dell’organizzazione di stampo mafioso e dell’assenza di dissociazione”, e perché “la famiglia Gallico risulta essere ancora oggi temuta e rispettata dalla cittadinanza di Palmi, sulla quale, da sempre, esercita la propria influenza” con “continuità di condotte delittuose di rilievo anche internazionale”.

Intanto le condizioni del detenuto peggiorano: dopo un ricovero d’urgenza, il 19 ottobre è depositata una nuova istanza. In cui i legali segnalano come la malattia “risultava rapidamente progressiva”, con “prognosi di vita infausta nel breve arco di tempo”. Gallico non accetta il trasferito disposto dal tribunale nel reparto Medicina V del San Paolo. “Si tratta di due stanze riservate ai detenuti al 41bis, con aria condizionata altissima, che avrebbe ucciso ancora prima un malato di polmonite”, dice l’avvocato Cristallo. Gallico sta ormai molto male: in terapia con ossigeno “a otto litri al minuto”, in “terapia cortisonica ad alto dosaggio”, “in aerosolterapia tre volte al giorno”. I medici parlano di paziente “non suscettibile di miglioramento”, “esposto a potenziali riacutizzazioni” con “un rischio elevato di mortalità anche ospedaliera”. Tanto che gli avvocati scrivono ancora al Tribunale di sorveglianza. Viene fissata udienza per l’11 novembre, poi rinviata al 27 gennaio per verificare l’idoneità di un domicilio e avere altri aggiornamenti medici. Troppo tardi per legali di Gallico, che parlano di un rinvio disposto di fronte a una situazione già gravissima. “Gallico è affetto da una grave patologia che richiede soltanto un trapianto urgente perché è destinato a breve a morire - scrive l’avvocato Cristallo in una memoria - e al 41 bis attaccato a una bombola dell’ossigeno, con difficoltà di deambulazione, equivale a sottoporlo a tortura, sofferenze ulteriori e a una morte intollerabile”. La richiesta di trasferimento viene accolta venerdì scorso in udienza, quando Gallico è in fin di vita al San Paolo. Due giorni, nella notte tra domenica e lunedì, il decesso.