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di Rosario Di Raimondo

La Repubblica, 17 giugno 2023

La protesta: “È una vergogna tenere bambini in cella”. A sollevare il caso il consigliere comunale del Pd Daniele Nahum: “Come ci è finito, non potevano essere disposti i domiciliari per la madre?”. In cella con il suo bambino di un anno. È la storia di una detenuta condannata di recente per droga e reclusa per tre giorni assieme al figlio a San Vittore. Una situazione denunciata da Daniele Nahum, consigliere comunale Pd e presidente della sottocommissione Carceri di Palazzo Marino: “È una vergogna che si possa tenere in quelle condizioni un bambino di un anno”, dice. Ieri pomeriggio l’amministrazione penitenziaria ha trovato una soluzione-ponte: madre e figlio sono stati trasferiti nella sezione nido di Bollate, una struttura più adatta, nell’attesa che i magistrati di sorveglianza si esprimano sulla concessione o meno dei domiciliari. Ma la questione resta aperta.

La solleva lo stesso Nahum, che giovedì, durante un sopralluogo a San Vittore, ha scoperto la storia della donna: “Ho visto le detenute che si passavano questo bambino, lo facevano giocare. Abbiamo visto celle di pochi metri quadrati che ospitano tre persone, condizioni igieniche compromesse, una turca come water. Ci sono 75 detenute a San Vittore, di cui 27 con problemi psichiatrici forti e altre 20 con alle spalle una storia di abuso di farmaci e psicofarmaci. Il carcere è sovraffollato e mancano strutture alternative. Ecco, pensi a un bambino lì dentro: non ci può stare. Come ci è finito, non potevano essere disposti i domiciliari per la madre?”.

Francesco Maisto, già magistrato di sorveglianza e oggi Garante dei detenuti, ricostruisce la vicenda: “Questa detenuta ha un figlio di un anno e, a casa, un bambino di quattro anni con serie difficoltà. Da quando è stata arrestata, tre giorni fa, è stata avviata la pratica per gli arresti domiciliari, che deve essere valutata da un magistrato di sorveglianza. Si stanno facendo accertamenti che serviranno poi all’emissione di un provvedimento”. In generale, per evitare situazioni del genere “serve una comunicazione più forte tra forze di polizia e autorità giudiziaria affinché si trovino alternative prima. Occorre un protocollo d’intesa, regole più chiare”.

Anche per l’avvocata Valentina Alberta, presidente della Camera penale di Milano, “oggi il sistema prevede un passaggio in carcere assolutamente inutile, che crea un disagio all’amministrazione e una ferita gravissima alla mamma e al figlio. I danni sono per tutti”.

Nelle scorse ore si era valutata la possibilità di spostare la detenuta all’Icam, l’istituto di custodia attenuata per recluse che sono anche madri, ma come spiega Maisto la comunità non poteva accoglierla per una serie di difficoltà linguistiche (parla solo inglese) e di “orientamento”, in altre parole la possibilità di gestirsi in maniera autonoma. La direzione di San Vittore si è comunque attivata per il trasferimento in una struttura più consona come la sezione nido del carcere di Bollate.

Posto che in situazioni così delicate ogni caso ha le sue peculiarità e presuppone necessarie verifiche (come quelle che si stanno facendo per concedere o meno gli arresti domiciliari alla donna), gli esperti del settore sottolineano come in questi casi ci si muova in una sorta di vuoto normativo soggetto a interpretazioni diverse, più o meno restrittive. In passato, una circolare della procura di Milano consentiva, in estrema sintesi, di sospendere l’esecuzione di un arresto in carcere qualora le forze di polizia si fossero trovate in presenza di donne incinte o madri di bambini fino a un anno di età, in modo da chiedere prima una valutazione e un provvedimento idoneo al magistrato di sorveglianza. Circolare revocata un anno fa. Da qui nasce l’appello del Garante dei detenuti affinché ci sia una “comunicazione più forte” tra forze dell’ordine e autorità giudiziaria.