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di Roberta Rampini

Il Giorno, 19 aprile 2024

“Una tortura, una cattiveria, un rischio”: sono queste le parole che don Gino Rigoldi ha utilizzato per commentare la circolare sulla chiusura dei reparti di media sicurezza, entrata in vigore nelle carceri italiane qualche mese fa. Per oltre 50 anni cappellano del carcere minorile Beccaria, Don Gino Rigoldi ha dedicato la sua vita alla cura, all’ascolto e all’accoglienza dei detenuti in carcere e conoscendo l’ambiente e i suoi inquilini, l’ex cappellano ha definito la circolare “terribile” perché “se non c’è attività, si sta in cella per 22 ore, con il rischio che la gente diventa matta quando è così compressa”.

Al fianco di magistrati, avvocati e del garante dei detenuti del Comune di Milano Francesco Maisto, il don ha partecipato al sit-in organizzato sullo scalone del palazzo di Giustizia per chiedere ai parlamentari e al ministro Carlo Nordio di intervenire al più presto per fermare i suicidi negli istituti penitenziari italiani che, dall’inizio dell’anno, sono 32.

Il rimpianto di arrivare “in ritardo” - Lui stesso, nel corso di una recente intervista rilasciata a Cristina Basso de Il Giornale ha ricordato che il suo peggior rimpianto è stato quello di “arrivare in ritardo”. “Un giorno un detenuto mi disse: ‘Don Gino, voglio parlare con te’ e io: ‘Torno nel pomeriggio’. Ma nel pomeriggio lui aveva già compiuto il gesto estremo. Il rimpianto è fatto di tanti rimpianti, per tanti ragazzi avrei dovuto capire cosa stava accadendo. Un adolescente che muore in questo modo è una cosa che ti resta dentro per sempre. I fallimenti ci sono, sono frequenti. Pensi di aver fatto cose bellissime per loro e poi ricadono nella droga, nei furti”.

I progetti in corso - Don Gino, nonostante abbia lasciato la vita da cappellano del Beccaria andando “in pensione”, continua la sua attività per aiutare i giovani ai margini della società, accogliendoli a casa sua e promuovendo progetti e strutture a contrasto della dispersione giovanile facendo sentire accolto anche chi è dimenticato: sul modello delle ‘jeunes maisons’ viste in Francia, l’ultimo progetto di Don Gino è aprire delle comunità in cui i ragazzi, usciti dal carcere, “possano anche partecipare ad attività culturali, sportive. Ora ci sono i monolocali, ma chi va lì è un po’ triste”.