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di Zita Dazzi

La Repubblica, 23 aprile 2024

L’ex cappellano dell’Istituto penale minorile: “A volte mi parlavano di qualche schiaffo, ma questi sono fatti gravi e i responsabili minacciavano i ragazzi”.

Don Gino Rigoldi, lei ha 84 anni, è stato cappellano del carcere Beccaria per 50. Quasi ogni giorno entra ancora nel penitenziario per ascoltare i giovani detenuti. Non aveva mai avuto sentore di quel che è accaduto?

“Mi sento in colpa, forse devo fare mea culpa per essere stato meno attento del dovuto, per non essere stato in grado di farmi dire quel che davvero succedeva in quelle celle, di notte, quando il carcere era buio e vuoto. Solo loro, i ragazzi e gli agenti”.

Non si è mai accorto che qualcuno era stato picchiato, addirittura seviziato?

“Certi giorni li vedevo insofferenti e sofferenti. Ma non sapevo che li menassero in quella maniera lì. Non me lo dicevano, i ragazzi. Il loro racconto era sempre molto superficiale. A volte mi hanno parlato di uno schiaffo. Si può capire che, in mezzo a tanti problemi, possa succedere un incidente, una volta. Ma qui si parla di fatti gravi, e sicuro i responsabili minacciavano i ragazzi per paura che parlassero”.

Ma lei conosce questi agenti sotto accusa?

“Li conosco tutti, certo. Alcuni sembravano sbrigativi, altri si diceva che avessero un brutto carattere. Non ho visto con i miei occhi nulla di grave, altrimenti avrei denunciato. Magari nel gruppo, questi comportamenti violenti sono venuti fuori. Però è gravissimo che in ambito penale minorile, qualche agente si accanisca su ragazzetti già sfortunati di loro, che sono in carcere, che stanno scontando una pena. Dovrò in futuro stare molto più attento”.

Ma che situazione può aver scatenato la polizia penitenziaria in quel modo?

“Io e l’altro sacerdote che oggi è diventato cappellano, don Claudio Burgio, lo denunciamo da anni: il Beccaria è stato abbandonato per un tempo lunghissimo. Per vent’anni non abbiamo avuto un direttore stabile, ci sono sempre stati problemi di organici, sia fra gli agenti, sia fra gli educatori. Questo i ragazzi lo hanno sentito, considerato anche che non si tratta di fraticelli”.

Cioè? Erano loro stessi ingestibili?

“Sono giovani che vengono dalla strada e da situazioni famigliari estreme, in carcere conoscono la violenza, imparano la violenza, diventano violenti a volte, perché sono vittime a loro volta di tante violenze, prima e dopo la carcerazione. Ma questo in nessuna maniera può giustificare la cattiveria, le ritorsioni. Vero che si tratta di 12 episodi di violenza in due anni, però si tratta di pestaggi. E si capisce che c’era una regola di omertà reciproca fra i 13 arrestati. E che altri sapevano, ma non agivano per interrompere la catena delle prevaricazioni e delle punizioni. Questi sono reati che vanno perseguiti”.

Si parla anche di una violenza sessuale...

“A un certo punto era girata la voce che ci fosse stato un tentativo di abuso con un manico di bastone. So che il problema era stato affrontato e gestito a livelli superiori. Erano voci, io non ho avuto confessioni, né confidenze. Adesso certo ci sarà più vigilanza su questi fatti. Peccato che si chiuda la stalla quando i buoi sono fuggiti”.

E ora, come si può ripartire dopo fatti del genere?

“Finalmente, dopo tanti appelli, abbiamo un direttore stabile, Claudio Ferrari, uno bravo, serio. Abbiamo avuto comandanti vari, un ruolo dove dovrebbe esserci una persona in grado di accudire e controllare. Adesso è arrivata Manuela Federico, anche lei bravissima. Dopo il vuoto che ha probabilmente portato ai fatti gravissimi di cui parliamo, speriamo che ora ci diano anche i venti agenti che mancano e gli educatori che servono perché i ragazzi stiano in gruppo, perché facciano delle attività durante il giorno e non arrivino a sera esasperati. Ce ne sono anche con problemi psichiatrici, psicologici. Vanno seguiti, aiutati. Non picchiati”.