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di Luca De Vito

La Repubblica, 10 novembre 2022

Una mostra in Tribunale nell’anno nero per le morti in cella. Una selezione delle fotografie della mostra “Ri-Scatti” accompagnate dai nomi e dalle vicende di chi si è tolto la vita in carcere nel 2022 nei corridoi del Palazzo di Giustizia di Milano. “Esposizione di grande valore simbolico”

Dahou Abderrazak era finito in carcere la prima volta a Prato, all’età di 19 anni, dopo aver lasciato il Marocco per l’Italia in cerca di fortuna. A settembre, poco dopo essere uscito, era stato nuovamente trovato con della droga a bordo di un motorino: non ha retto e poche ore dopo l’interrogatorio di garanzia si è impiccato nella sua cella al carcere di Sollicciano, morendo 24 ore dopo. È una storia tra tante e perla precisione una storia su 74: sono i suicidi che si sono verificati in carcere nel 2022, un numero che fa di quest’anno il record negativo in assoluto, anche peggio del 2009 quando in cella si erano tolte la vita 72 persone.

Una parte di queste storie, con nomi e cognomi e una breve ricostruzione dei fatti, è stata raccolta in un estratto della mostra esposta al primo piano del tribunale di Milano: una selezione della fotografica “Ri-Scatti” esposta al Padiglione di Arte Contemporanea (Pac) fatta dagli avvocati della Camera Penale di Milano che hanno deciso di aggiungere un messaggio forte sul tema dei suicidi a quello del disagio negli istituti penitenziari raffigurato dalle immagini scattate da detenuti e agenti di polizia. Un’esposizione realizzata in collaborazione con l’ordine degli avvocati, l’Anm e il Ministero.

La mostra mette il dito nella piaga, punta l’attenzione laddove il meccanismo della Giustizia si inceppa e invece di tutelare e rieducare, finisce per annientare. Simone Melardi era arrivato nel carcere di Caltagirone per aver rubato un telefono e un portafoglio al teatro Massimo Bellini di Catania, subito restituiti. Da tempo era in lista d’attesa per essere inserito in una comunità dato che soffriva di psicosi ed era sottoposto al regime di massima sorveglianza in cella. Il 25 agosto si è impiccato in carcere, all’età di 44 anni. E poi ancora la storia di David Selvaggio, che a marzo di quest’anno era finito dentro con l’accusa di aver rapinato alcune donne insieme alla compagna. Tossicodipendente, si era tolto la vita impiccandosi a poche ore dall’interrogatorio di garanzia nel carcere di Sondrio. Aveva 33 anni.

“L’esposizione ha un grande valore simbolico - ha detto Giovanna Di Rosa, presidente del tribunale di Sorveglianza di Milano - perché viene fatta qui in Tribunale, dove si amministra la giustizia e si decidono le pene e come eseguirle. Va guardata lasciandosi andare al senso di umanità perché le foto e le storie grondano umanità. Sono rimasta molto colpita leggendo nomi e storie perché significa personalizzare e dare un senso ai numeri. Vanno guardate e lette lasciandosi andare all’emozione dell’uomo che guarda l’uomo”.

Tra i pannelli esposti al Palazzo di Giustizia si trova anche la vicenda di Roberto Pasquale Vitale che al Pagliarelli di Palermo scontava una condanna per rapina. Anche lui aspettava di entrare in comunità perché, come raccontato dal padre, soffriva di un serio disturbo psichiatrico. È morto in ospedale dopo 18 giorni di agonia, il 21 settembre, perché aveva cercato di togliersi la vita con il classico lenzuolo appeso alle sbarre della cella. Giacomo Trimarchi è invece il più giovane a uccidersi quest’anno: aveva 21 anni ed è morto inalando il gas butano a San Vittore. Non doveva starci là perché destinato a un luogo di cura. Tra le storie in mostra, anche quella di Donatella Hodo, la ragazza che prima di togliersi la vita nel carcere veronese di Montorio ha chiesto perdono al suo amore.

Per il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Vinicio Nardo “non era scontato che avvocati e magistrati facessero insieme questa mostra. Per tanto tempo non ci siamo fatti carico dell’esecuzione della pena ma solo della celebrazione dei processi. Le foto del carcere servono a favorire questa commistione culturale tra il prima e il dopo ma non a farci sentire più buoni perché il carcere è più di quello che vediamo in queste immagini. Se vogliamo bere la cicuta, dobbiamo berla fino in fondo”.